Si apre oggi a Torino la XXXIV edizione del Salone internazionale del libro, che torna alla “normalità” dopo due anni in cui è stato costretto – come tutti – a fare i conti con gli effetti della pandemia, realizzando edizioni limitate e parzialmente in presenza. Non si tratta solo di un’importante opportunità per l’industria editoriale e per chi ama la lettura. Il salone è innanzi tutto l’occasione per portare il libro al centro dell’attenzione, conquistando le prime pagine dei giornali e qualche minuto di passaggi televisivi, parlando del libro in sé e della sua funzione (e non solo di singoli libri, come avviene quando un autore ottiene visibilità per promuovere la sua ultima pubblicazione). È una occasione per pensare ai libri e per manifestare un po’ di gratitudine a questo straordinario veicolo di idee, emozioni, culture.
Il rapporto tra gli individui e il libro, la personale esperienza di lettura, costituiscono una componente identitaria forte per la nostra civiltà. Stavo per scrivere “civiltà occidentale”, ma non so se questo aggettivo abbia ancora un senso e possa ancora essere utilizzato per specificare le nostre peculiarità. Siamo quello che leggiamo, è il titolo di un bellissimo libro in cui Aidan Chambers spiega come ci si forma attraverso la letteratura. «Le storie sono la forma attraverso la quale usiamo la lingua per creare e ricreare noi stessi – scrive l’autore inglese – le nostre idee su chi siamo, da dove veniamo, che cosa possiamo diventare».