La scrittrice Rie Kudan ha vinto quest’anno col romanzo di fantascienza Tokyo-to Dojo-to il Premio Akutagawa, forse il più importante riconoscimento letterario giapponese. E fin qui la notizia può sembrare poco interessante. La notizia vera è che l’autrice ha dichiarato che durante la stesura del libro ha avuto frequenti conversazioni con ChatGPT e che una parte di queste sono poi diventati dialoghi del romanzo. Kudan ammette che una parte del merito per Tokyo-to Dojo-to non è suo ma di questa applicazione di intelligenza artificiale, cui si può attribuire la generazione di almeno il 5 per cento del contenuto: questa sarebbe la percentuale di frasi presenti nel romanzo generate dall’AI. La scrittrice ritiene di aver usato tutte le capacità creative di ChatGPT e di aver raggiunto grazie a questo contributo il suo «apice creativo». Si tratterebbe, quindi, di un vero e proprio coautoraggio? Kudan intende proseguire sulla stessa strada strada e avvalersi anche in futuro di questo strumento.
Nel mio recente volume Cervelli anfibi, orecchie e digitale, riferendomi alle applicazioni dell’intelligenza artificiale generativa in ambito editoriale, scrivevo «arriveremo ai libri che si scrivono da soli, in modo automatico o semi-automatico»: ci siamo quasi.