Alberto Petrucciani, docente di Storia delle Biblioteche e di Teoria e tecniche della catalogazione presso la Sapienza, è scomparso a Roma il 10 settembre. Questa testimonianza è stata letta durante i funerali, che si sono svolti il 12 settembre nella Chiesa di San Roberto Bellarmino.
Alberto Petrucciani ed io abbiamo lavorato fianco a fianco per moltissimi anni (grosso modo, direi 35) e più intensamente dal 2009 in poi, dopo il suo arrivo in Sapienza. Abbiamo sempre collaborato, condiviso tante iniziative, tante volte abbiamo discusso e ci siamo confrontati, perché avevamo sensibilità e interessi scientifici diversi (anche due caratterini niente male), ma sempre con un pieno e reciproco rispetto, essendo uniti da una stessa visione prospettica. Per questi viaggiavamo bene insieme, anche se con un passo a volte diverso.
Del suo lungo lavoro scientifico dirò soltanto che Alberto, divenuto professore ordinario a trent’anni nel 1986, ha avuto il grande merito di innovare radicalmente gli studi sulla storia delle biblioteche, indicando percorsi nuovi, superando una tradizione erudita. La prospettiva che Petrucciani ha sviluppato è quella di una storia del servizio bibliotecario, comprendente anche le persone che abitano le biblioteche, e quindi una storia della professione bibliotecaria e una storia dell’uso, una storia interna, raccontata attraverso i documenti che registrano «ciò che nelle biblioteche realmente avveniva, come, da parte di chi, ecc.». Molti suoi lavori (penso a quelli raccolti nel 2012 nel volume Libri e libertà) sono accomunati dal desiderio di valorizzare la dimensione “civile” che biblioteche e bibliotecari hanno esercitato in momenti cruciali come il Risorgimento nazionale, la lotta antifascista, la costruzione dell’Italia repubblicana.
I frutti più maturi di questo filone di studi e anche della sua capacità di raccogliere attorno a sé tanti collaboratori è emerso durante il convegno tenutosi alla Sapienza nel 2018.
L’applicabilità dei risultati di queste ricerche alla comprensione dell’azione sociale delle biblioteche costituisce un valore aggiunto di primissima rilevanza. In questa senso, non si è trattato solo di scrivere la storia delle biblioteche in modo diverso, ma di studiare e interpretare le biblioteche nella loro interezza e nei loro rispettivi contesti, contribuendo alla storia della trasmissione delle conoscenze, e mettendo al centro le persone, si trattasse di bibliotecari o di utenti.
Mi fermo qui, perché ci saranno altri momenti per fare un adeguato inventario scientifico e umano dell’eredità di Alberto Petrucciani, per ricordare i suoi studi sulla teoria e sulla pratica della catalogazione o per valorizzare il suo modo di rapportarsi agli studenti. Con i dottorandi, in particolare, era molto disponibile, premuroso, perfino affettuoso, aprendosi più di quanto non facesse con altri, lasciando emergere un tratto del carattere che la sua natura in altre circostanze tendeva a nascondere.
Per cercare di esprimere i sentimenti che accomunano amici, colleghi, allievi, devo aggiungere che in questi due giorni, da quando è circolata la notizia della sua scomparsa – notizia che temevamo prima o poi di ricevere, ma che non immaginavamo sarebbe arrivata così presto – ho letto tanti messaggi provenienti da ambienti diversi (quelli dei colleghi della Sapienza, o dei soci della società scientifica che aveva contribuito a fondare e di cui era stato presidente, o quelli inviati dai bibliotecari italiani attraverso la loro lista di discussione): questi messaggi hanno evidenziato diversi aspetti della personalità di Alberto, ma l’espressione che ricorre con maggiore frequenza è riferita al senso di impoverimento che tutti avvertiamo in questo momento.
Ci sentiamo più poveri perché in questi ambienti – che corrispondono poi alle varie sfaccettature della sua comunità di riferimento, quella delle biblioteche e di ciò che le circonda – Alberto ha occupato una posizione particolare e specifica, diversa da tutti gli altri, stando nel nostro mondo e osservandolo con uno sguardo originale.
Nel comunicato col quale la Presidente dell’Associazione Italiana Biblioteche ha annunciato la scomparsa di Alberto viene ricordato il suo forte e costante impegno nell’associazione professionale, fin dai primi anni di attività lavorativa iniziata come bibliotecario a Genova nel 1982 e ricoprendo per due volte l’incarico di vicepresidente nazionale, la decennale direzione della nostra rivista – che Alberto trasformò, portandola e facendola assestare a livelli molto elevati –; e poi la responsabilità scientifica della produzione editoriale e tanti altri incarichi, a volte in apparenza oscuri, perché Alberto aveva anche il gusto delle piccole cose.
L’autorevolezza che tutti gli riconoscevano naturalmente – e di cui Alberto era consapevole – non era legata alle posizioni che formalmente aveva ricoperto e alle quali, quando poteva, si sottraeva, e non perché non si sentisse all’altezza del compito e forse neppure per la sua proverbiale pigrizia.
Se solo avesse dato la sua disponibilità, avrebbe avuto il consenso necessario per dirigere o presiedere tanti organismi, malgrado non tutti condividessero sempre le sue opinioni né lui avesse mai risparmiato di manifestare il proprio dissenso, quando non era d’accordo su qualcosa, o quando – guardando oltre l’opinione dominante e vedendo cose che altri non vedevano – segnalava che le cose forse non stavano come pensava la maggioranza.
Credo che preferisse guardare le cose dalla seconda fila, perché così si osservano meglio.
È proprio quello sguardo critico la cosa che più ci mancherà.