Ho inviato una lettera al Ministro Franceschini, comunicandogli la mia decisione di abbandonare il Consiglio superiore dei beni culturali e paesaggistici, nel quale mi aveva designato circa un anno e mezzo fa.
Da tempo avvertivo un certo disagio, dovuto al fatto che agli organi consultivi del Ministero spesso non viene data l’occasione per esprimersi sulle scelte di fondo e sulle principali questioni che nel recente passato hanno toccato il settore delle biblioteche. Così è stato per i provvedimenti di riforma che, contrariamente a quanto avveniva per altri settori (pensiamo in primo luogo a musei e soprintendenze), non sembrano proporre alcun modello funzionale per le biblioteche pubbliche statali; oppure per il provvedimento con il quale lo Stato ha improvvisamente avocato a sé la tutela dei beni librari, esercitata per oltre quarant’anni dalle Regioni, cavandosela poi con una mera operazione nominalistica, che ha trasformato le Soprintendenze archivistiche in Soprintendenze archivistiche e bibliografiche, senza dotarsi però degli strumenti e del personale necessari per svolgere un compito così delicato e gravoso come la tutela di un ricchissimo patrimonio librario e documentario richiederebbe.
Con ciò non intendo disconoscere quanto di positivo è stato fatto in quest’ultimo anno, dove si è vista una netta inversione di tendenza nelle assegnazioni finanziarie con la legge di stabilità 2016 e un primo intervento finalizzato a rimpinguare gli organici dei profili tecnico-scientifici, con l’annuncio di un concorso a 500 posti di funzionario.
Nei mesi scorsi ho tentato di dare il mio contributo, facendomi promotore di un documento – elaborato insieme ai colleghi del Comitato tecnico-scientifico per i beni librari e con la collaborazione del Direttore generale per le biblioteche – che analizzava le maggiori criticità e cercava di stimolare una organica politica per le biblioteche, approvato dal Consiglio superiore il 12 ottobre 2015.
L’episodio più sconcertante si è verificato nei giorni scorsi, proprio con il concorso per funzionari, che prevede il reclutamento di antropologi (5 posti), archeologi (90 posti), architetti (130 posti), archivisti (95 posti), bibliotecari (25 posti), demoantropologi (5 posti), esperti di promozione e comunicazione (30 posti), restauratori (80 posti) e storici dell’arte (40 posti).
In esso sono previsti, dunque, solo 25 bibliotecari, senza tenere minimamente conto delle esigenze oggettive del comparto delle biblioteche. Ci è stato detto che questo risultato dipende dalla scelta di individuare il numero delle posizioni da mettere a bando in proporzione alle carenze di organico: decisione apparentemente ineccepibile, ma che rischia di perpetuare le sperequazioni attualmente esistenti fra i diversi profili e tra le diverse sedi. Si sarebbe potuto, e a mio avviso dovuto, prendere atto che successivamente alla definizione dell’organico sono nate le Soprintendenze archivistiche e bibliografiche, del tutto prive di personale competente a intervenire sui beni librari, e, quindi, a monte del calcolo finalizzato a sanare lo scollamento fra piante organiche e personale in servizio, andavano assicurate tali competenze prevedendo almeno una figura di bibliotecario per ciascuna sede. Ma c’è dell’altro: nella ripartizione dei posti non si è considerato che l’età media tra i bibliotecari è più elevata che in altri settori (da una rilevazione effettuata nel 2015 risulta che solo il 2,7% del personale in servizio ha un’età inferiore ai 50 anni e il 63% dei bibliotecari supera i 60, a fronte del 35% fra gli architetti, 29% fra gli archeologi, 15% fra gli storici dell’arte e 14% fra gli amministrativi; ovviamente, la situazione è nel frattempo peggiorata). Nell’arco dei prossimi 5 anni, circa il 60% dei bibliotecari attualmente in organico lascerà il servizio e solo nel corso del 2016 sono previsti 37 pensionamenti.
Da queste scelte sembra confermata una concezione delle biblioteche statali assolutamente residuale e marginale nel comparto dei beni culturali. Le biblioteche del MiBACT sono ormai al collasso: riduzione degli orari di apertura, scarsa accessibilità del patrimonio, invecchiamento delle collezioni, costante abbassamento del livello dei servizi erogati, contrazione dell’utenza. A fronte di questa situazione, il Ministero non riesce ad usare altri parametri se non quelli aritmetici. Mi sarei aspettato che l’Amministrazione esercitasse responsabilmente il diritto/dovere di compiere scelte incisive e orientate a governare lo sviluppo del settore o, quanto meno, a garantire la sopravvivenza degli istituti.Nella convinzione di non poter condividere tali scelte e della sostanziale inutilità della presenza di un esperto del settore bibliotecario all’interno del Consiglio, ho deciso, seppur con grande rammarico, di dimettermi.Opero da quasi quarant’anni nel settore del libro e delle biblioteche e non intendo per questo gettare la spugna: malgrado l’amarezza, continuerò a lavorare come so e come posso, nella ferma convinzione della rilevanza della funzione che possono esercitare all’interno di una politica per l’istruzione e per l’accesso alla conoscenza, che il nostro Paese sembra incapace di darsi.
Chiarissimo Professore,
sono rammaricato e amareggiato. Ma questa vicenda è solo l’ultima delle tante, Lei sa bene della mia storia professionale e quindi comprende, che dimostrano che la classe politica attuale non è all’altezza delle necessità del nostro Paese.
So che Lei non demorderà e quindi sappia che Le sono vicino.
Con la consueta stima,
Alessandro Crisafulli
Ciao professore,
su FB ho condiviso le vostre dimissioni e ho inviato mail ai soci e agli amici.
Da bibliotecaria mi rendo conto che nelle biblioteche ci sono sempre meno bibliotecari e che le politiche culturali non hanno portato benefici al nostro settore, come invertire la rotta?
Un caro saluto
Francesca Carnevale
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