Una variante: a tavola con gli investigatori

Abbiamo parlato pochi giorni fa della presenza del cibo nella letteratura. Torniamo a occuparcene per aggiungere qualcosa su un sottogenere, come la narrativa poliziesca, in cui frequentemente sono presenti riferimenti gastronomici, forse perché gli investigatori più di una volta vengono presentati come soggetti burberi, solitari, abitudinari e che, nel corso delle loro indagini, hanno spesso la necessità di isolarsi per riflettere sugli indizi raccolti e individuare il colpevole. E sovente lo fanno a tavola. Ê così per il commissario Montalbano, frutto della penna di Andrea Camilleri, o per il suo omologo Maigret, inventato da Georges Simenon. Per il poliziotto di Vigata l’amore per la buona tavola non è legato solo all’appagamento del palato, ma è la ricerca di un momento di pace e di silenzio, davanti a un piatto di triglie o di pasta alla Norma. L’altro, assiduo frequentatore della brasserie Dauphine a Parigi, predilige pietanze di carne, accompagnate da un buon boccale di birra. E che dire di Nero Wolfe, l’investigatore privato creato da Rex Stout: un vero gourmet. Ma meritano di essere ricordate anche le prime colazioni e i dolci adorati da Hercule Poirot, il bizzarro investigatore che anima i romanzi di Agatha Christie, oppure le abitudini gastronomiche coltivate da Pepe Carvalho presso il ristorante Casa Leopoldo di Barcellona, così ben descritte dallo scrittore catalano Manuel Vázquez  Montálban, o l’attrazione che Sherlock Holmes prova per il buon vino, come ci tramandano le pagine scritte da Sir Arthur Conan Doyle. 

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La cucina degli scrittori

Il giornale la Repubblica ha avviato una … gustosa rubrica intitolata “La fiera magnara” (espressione presa in prestito dal Pasticciaccio di Carlo Emilio Gadda), dedicata ai rapporti fra cibo e letteratura, a cura di Marcello Teodonio. Ogni puntata è dedicata a quelle narrazioni in cui il mangiare o il preparare pietanze occupano la scena in modo significativo. È proprio vero, come scrive Italo Calvino in Se una notte d’inverno un viaggiatore, che la cucina è la parte della casa che può dire più cose di noi.

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The winner is… ChatGPT!

La scrittrice Rie Kudan ha vinto quest’anno col romanzo di fantascienza Tokyo-to Dojo-to il Premio Akutagawa, forse il più importante riconoscimento letterario giapponese. E fin qui la notizia può sembrare poco interessante. La notizia vera è che l’autrice ha dichiarato che durante la stesura del libro ha avuto frequenti conversazioni con ChatGPT e che una parte di queste sono poi diventati dialoghi del romanzo. Kudan ammette che una parte del merito per Tokyo-to Dojo-to non è suo ma di questa applicazione di intelligenza artificiale, cui si può attribuire la generazione di almeno il 5 per cento del contenuto: questa sarebbe la percentuale di frasi presenti nel romanzo generate dall’AI. La scrittrice ritiene di aver usato tutte le capacità creative di ChatGPT e di aver raggiunto grazie a questo contributo il suo «apice creativo». Si tratterebbe, quindi, di un vero e proprio coautoraggio? Kudan intende proseguire sulla stessa strada strada e avvalersi anche in futuro di questo strumento.

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