Il Salone di Torino e i viaggi di un libraio

Si è conclusa ieri la XXXV edizione del Salone del libro di Torino, battendo ancora una volta tutti i record precedenti, a partire da quello dei visitatori, ben 215.000. È stata una straordinaria occasione per vedere tanti libri, ascoltare gli autori, discutere su tutti i temi della contemporaneità. Al di là di qualche polemica, credo che si debba tributare un sentito ringraziamento a Nicola Lagioia per il suo lavoro di questi sette anni e augurarsi che il Salone continui a crescere sotto la direzione di Annalena Benini, che dal prossimo anno prenderà il suo posto.

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Anatomia di un premio letterario

Ho partecipato oggi a un dibattito tenutosi presso la Casa delle Letterature di Roma, che traeva spunto dal recente volume Caccia allo Strega scritto da Gianluigi Simonetti, docente di Letteratura italiana contemporanea all’Università di Losanna, e pubblicato da Nottetempo. È una ricostruzione corretta e rigorosa delle logiche che governano il più autorevole premio letterario italiano, al quale l’autore non risparmia osservazioni critiche, sulle quali tornerò tra poco, per discuterle e per tentare una replica, dove lo ritengo necessario. Mi preme però sottolineare un aspetto che mi ha fatto piacere ritrovare nel libro di Simonetti ed è questo il vero motivo per cui ho deciso di partecipare all’incontro: direi che sono state comprese nel senso giusto e fino in fondo le ragioni di alcuni cambiamenti introdotti negli scorsi anni nei meccanismi che regolano il premio.

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La cultura del lavoro nella letteratura

Nella nostra tradizione letteraria novecentesca esistono tanti riferimenti al lavoro e a quella particolare relazione tra individui e società che passa proprio attraverso le attività lavorative. Negli anni Sessanta, in un’Italia che cresceva attraverso la modernizzazione legata allo sviluppo industriale, si affermò un filone che fu etichettato come “letteratura industriale” e che vide in Ottiero Ottieri, Paolo Volponi e Luciano Bianciardi gli autori di punta. Nei decenni successivi la produzione letteraria registrò l’impatto sociale, economico e psicologico delle trasformazioni avvenute nel mondo del lavoro: per citare qualche esempio, nel 1979 Primo Levi vince il Premio Strega con La chiave a stella, che narra le vicende di un operaio montatore che gira il mondo per installare impianti molto complessi; sul  versante opposto troviamo La dismissione, il libro col quale Ermanno Rea nel 2002 racconta lo smantellamento dell’acciaieria Italsider di Bagnoli. Poi il lavoro è quasi del tutto scomparso dalla letteratura: nel 2010 la realtà operaia di Piombino fa da sfondo alla storia di due adolescenti protagoniste di Acciaio, il romanzo di Silvia Avallone. 

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