Lo sfruttamento in editoria

Gli organi di stampa hanno dato ampio risalto nei giorni scorsi all’indagine sui casi di caporalato che si sarebbero verificati presso lo stabilimento tipografico della Grafica Veneta, che stampa libri anche per conto di importanti editori. Le accuse sono gravissime: estorsione, lesioni, sequestro di persona e sfruttamento ai danni di nove lavoratori pakistani. Scrittori come Maurizio Maggiani hanno scritto di provare “rabbia e vergogna” all’idea che i loro libri siano stati stampati da operai ridotti in schiavitù, sottolineando l’intima contraddizione tra i valori che la cultura intende esprimere e le logiche che a volte prevalgono nelle imprese editoriali.

Al di là dei reati gravissimi contestati ai manager dell’azienda che sono stati arrestati e senza arrivare a questi casi estremi, va detto che nel mondo dell’editoria lo sfruttamento e il precariato sono assai diffusi. Molte attività (il lavoro redazionale, la stampa, la promozione, la logistica etc.) sono affidate a service esterni, a volte ricorrendo a trucchetti poco edificanti: alcuni editori smantellano la redazione, licenziano i dipendenti e affidano il lavoro che questi facevano fino al giorno prima a un’agenzia o una cooperativa costituita dai loro ex redattori. Frequente è il caso di professionisti, anche con elevate professionalità, che lavorano “a partita IVA” per un unico cliente, oppure come tirocinanti e stagisti, o addirittura in nero. Le motivazioni/giustificazioni addotte sono talvolta risibili: si dice che queste forme di collaborazione servono a completare l’iter formativo dei collaboratori, ma è difficile dar credito a tali affermazioni se questi rapporti si prolungano per anni. Altre volte si lamentano le difficoltà economiche e la riduzione dei margini di profitto, che non consentirebbero un inquadramento adeguato di questi lavoratori.

Si parla tanto di responsabilità sociale degli imprenditori… I diritti non sono negoziabili, ma chi è in condizioni di sudditanza estrema non può difendersi. Spetta alle associazioni di categoria, alle organizzazioni politiche e sindacali, oltre che alle forze dell’ordine — quando si configurano veri e propri reati — tutelare i soggetti più deboli e vigilare sul rispetto delle regole.  

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