L’Italia che legge (dieci anni dopo)

Nel 2010 pubblicai per Laterza L’Italia che legge, un volumetto in cui, analizzando la configurazione “strutturale” del mondo del libro e della lettura in Italia, provavo a riflettere su alcuni fattori che condizionano le pratiche di lettura e a sfatare anche qualche luogo comune. A distanza di un decennio può essere utile fare il punto su cosa è accaduto nel frattempo e – cosa forse più utile ancora – su come possiamo attrezzarci per affrontare ciò che avverrà in un prossimo futuro. L’anno di pubblicazione di quel volume, ma questo non potevamo saperlo, è stato l’anno in cui in Italia si è letto di più (il 46,8% degli italiani prese in mano un libro), mentre da qualche anno la percentuale stagna tra il 40 e il 41% (lo stesso dato del 2001). Dal 2010 è iniziato un declino, che in modo un po’ semplicistico è stato collegato al calo generalizzato dei consumi seguito alla crisi economica mondiale del 2008-9 e che ha fatto vedere i suoi effetti negli anni successivi (2011-14). Sicuramente questi fattori hanno avuto un loro peso, ma sarebbe sbagliato non cercare altrove le origini di un fenomeno così profondo, il che equivarrebbe a pensare che un eventuale superamento della crisi dei consumi potrebbe riportarci come per incanto alla situazione precedente. Come se tutto intorno il contesto non fosse profondamente mutato.

Il calo dei lettori ha colpito prevalentemente i giovani, che restano però quelli che leggono di più: all’inizio di questo decennio, in un paio d’anni abbiamo avuto 4 punti percentuali in meno nella fascia 6-10 anni, -3,6 nella fascia 11-14, e addirittura -9,2 nella fascia 15-17, quella in cui riscontra in assoluto il calo più rilevante. Non abbiamo capito cosa stava accadendo con la connessione in mobilità, che è la vera grande novità di quest’ultimo decennio, e non abbiamo capito in che modo le pratiche di rete modificavano radicalmente i comportamenti delle persone.

Si sono diffuse altre forme di lettura e scrittura in rete – di cui sappiamo però molto poco – e si è affermata anche una nuova modalità di lettura frammentata, più veloce e discontinua che salta da un testo (breve) all’altro, diversa da quella tradizionale lineare e progressiva. Banalizzando un po’ questi cambiamenti e, a mio avviso, ignorandone la portata, alcuni ritengono che si tratti di trasferimento dal supporto cartaceo al digitale. Se la rivoluzione in atto consistesse solo nella sostituzione dei libri elettronici al posto dei libri tipografici, e si trattasse cioè solo di una ‘migrazione interna’, dovuta all’evoluzione della veste esteriore e degli aspetti materici di questi oggetti, non ci sarebbe nulla di strano, anche perché attualmente gli e-book sono sostanzialmente identici ai libri di carta cui manca soltanto la carta, al punto che li si potrebbe definire un’imitazione dei libri di carta.

Invece il cambiamento di contesto porta con sé anche un cambiamento del “senso” della lettura. Il problema non è limitato solo a quante persone leggono o a che cosa leggono, ma riguarda anche il perché si legge. L’Istat ha, forse inconsapevolmente, registrato il cambiamento in atto quando ha modificato le modalità di rilevazione. Fin dalle sue prime indagini, avviate a metà degli anni Sessanta, l’Istituto nazionale di statistica ha rilevato il numero degli italiani di età superiore ai 6 anni che leggeva almeno un libro all’anno nel tempo libero. Era questo un modo sbagliato, o impreciso, di calcolare la percentuale di lettori “veri” in Italia? Forse sì, avremmo detto. Ma questo dato non è inutile, perché oggi ci dice un’altra cosa. Infatti, la decisione di rilevare negli anni Sessanta o Settanta il numero di coloro che leggevano libri (anche pochi) nel tempo libero, per scelta, rappresentava la voglia di crescere attraverso la cultura e la lettura, in un paese che era attraversato da un’importante spinta allo sviluppo. Il passaggio dal 16,6% della prima indagine al valore quasi triplicato del 2010 testimonia le trasformazioni profonde che hanno modificato la società italiana nel corso di mezzo secolo. Da un paio d’anni disponiamo anche di un altro dato. Infatti, in occasione della indagine multiscopo quinquennale sulle famiglie l’Istat ha rilevato non solo la lettura “per piacere”, ma anche quella di libri professionali ed educativi (non scolastici), effettuata nel tempo libero, e certe forme di consultazione che non si possono definire lettura vera e propria (ricettari di cucina, guide turistiche etc.): come per incanto, l’indice è schizzato al 59,4%. È un modo per taroccare le statistiche, per far diventare maggioranza quella che fino a ieri era e si sentiva minoranza? Sembra solo un modo diverso di calcolare il numero dei lettori, oppure un modo per dividersi tra ottimisti, che ora potranno affermare che quasi 6 italiani su 10 sono lettori, e i pessimisti, che continueranno a lagnarsi perché solo il 40% dei nostri compatrioti legge almeno un libro all’anno. Questo dato, però, ci mostra anche un altro fenomeno. Rilevare oggi il numero complessivo di italiani che leggono libri nel tempo libero, per studio o per occasioni professionali ci dice invece un’altra cosa: nell’era della rete e della comunicazione digitale, mentre una quota crescente di giovani preferisce l’apprendimento per immagini e utilizza un tutorial disponibile su YouTube per documentarsi e per imparare qualcosa, piuttosto che dedicarsi alla lettura di un saggio o di un manuale, c’è ancora un 60% degli italiani che ricorre alla parola scritta e al libro come strumento per impadronirsi della complessità. 

Ecco, questo è solo un assaggio degli elementi di continuità e di discontinuità che caratterizzano l’evoluzione della lettura.

 

 

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