In questi giorni ha fatto molto discutere la notizia che presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma è stato costituito un fondo che rende disponibili le carte e i libri appartenuti a Pino Rauti, fondatore di “Ordine Nuovo” e al centro di tante indagini giudiziarie sulla Destra eversiva e sui crimini ad essa riconducibili. Molti hanno reagito con indignazione, arrivando a chiedere le dimissioni del direttore della biblioteca. In queste polemiche, a mio avviso, si sta facendo molta confusione, mescolando cose diverse e senza affrontare quella che a me pare la questione di fondo.
Per cominciare, mi pare che venga ignorato un principio fondamentale della ricerca storica: tutta la documentazione è utile e non si possano introdurre filtri ideologici per decidere cosa conservare e cosa no, altrimenti dovremmo distruggere i documenti dell’Inquisizione e del Gran Consiglio del Fascismo, le carte di Licio Gelli e i verbali degli interrogatori di Moro nel covo delle BR.
La documentazione storica è importante in base al rilievo del soggetto produttore dell’archivio, a prescindere da quello che si pensa del soggetto stesso. In questo senso, bisogna essere “avalutativi”, il che significa proteggere la conservazione di tutte le fonti: solo la piena memoria documentaria – anche quando riguarda l’operato di personaggi che non ci piacciono – offrirà agli storici del futuro la possibilità di pensarne motivatamente tutto il male possibile. Le biblioteche e gli archivi conservano e mettono a disposizione degli studiosi; gli storici faranno il loro lavoro e le loro valutazioni critiche.
All’origine dello spostamento di queste carte in Biblioteca Nazionale c’è un atto della Soprintendenza archivistica e bibliografica del Lazio, che nel 2017 ha dichiarato questa documentazione “bene culturale di particolare interesse storico” e ne ha disposto il vincolo. Da qui nasce la questione e forse in questo atto possiamo individuare un primo nodo problematico, assai delicato, specie quando la documentazione proviene da un personaggio quanto meno controverso come Rauti. Vogliamo credere, e non abbiamo motivo per dubitarne, che la Soprintendenza abbia attentamente esaminato le carte e ne abbia verificato l’integrità: sarebbe grave, infatti, se l’archivio fosse stato “addomesticato” dal possessore o dalle sue eredi prima del versamento, e fossero stati eliminati documenti a loro non graditi. Quando una importante istituzione pubblica di ricerca si trova di fronte a una donazione riguardante una personalità molto discussa, questo tipo di controlli sono doverosi, per verificare se la documentazione è completa o è orientata a presentare in modo distorto la realtà dei fatti. Dagli esiti di una verifica di questo genere, infatti, deriva la scelta se accettare o meno una donazione.
Non si capisce tuttavia perché l’archivio Rauti sia stato destinato alla Biblioteca Nazionale di Roma, primo archivio di un politico presso questa istituzione, mentre sarebbe stato eventualmente di maggior pertinenza presso l’Archivio di Stato.