Calvino e le vertigini

Ho dedicato parte dell’estate ad alcune letture, che ancora sto proseguendo, di opere di Italo Calvino e di saggi critici a lui dedicati: lo sto facendo, idealmente, per onorare il centenario della nascita di uno dei maggiori autori del nostro Novecento e, più banalmente, per prepararmi ad alcuni appuntamenti previsti per il prossimo autunno, in cui sarò coinvolto come relatore. L’effetto pervasivo di queste letture è impressionante, e per me totalmente nuovo: mi fa star male e mi obbliga ogni tanto a fermarmi per cercare di arrestare il senso di smarrimento che provo, e aspettare che la polvere che si è sollevata si sedimenti. Credo che dipenda dalla complessità e dalla multidimensionalità che inevitabilmente ogni pagina, anzi ciascuna riga, porta con sé. 

Non ho mai sofferto di vertigini, ma credo che si provi qualcosa del genere. Cerco di spiegarmi. A mano a mano che procedo con la lettura di Calvino e su Calvino avverto una strana sensazione: i pensieri cominciano a viaggiare incontrollati, muovendosi in mille direzioni diverse e intersecandosi, il loro ronzio diventa insostenibile, la mia testa sembra trasformarsi in un formicaio o in labirinto. Impossibile cercare di prendere appunti e di star dietro al flusso delle annotazioni che vorrei prendere. Ma è una sensazione bellissima.

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