La formazione, questione nazionale

Nelle scorse settimane, con colpevole ritardo, ho letto il volume di Marco De Nicolò, Formazione. Una questione nazionale, pubblicato da oltre un anno. L’autore, docente all’Università di Cassino, prende spunto dagli errori presenti nei compiti scritti dei suoi studenti di Storia contemporanea, ma si guarda bene dal limitarsi a raccogliere solo gli strafalcioni in una sorta di stupidario. Il suo saggio propone invece un’analisi “basata sull’evidenza” dei mali che affliggono le giovani generazioni del nostro Paese, e quindi l’Italia intera, perché il gap formativo-educativo è davvero una grande questione nazionale, di cui faremmo bene a preoccuparci molto di più e che dovrebbero essere al centro del dibattito pubblico, specie in questo momento in cui si parla di rinascita e resilienza, mentre invece sembra che a interessarsene siano solo gli addetti ai lavori e pochi esperti. 

Al di là del deficit di conoscenza delle principali vicende storiche e della totale mancanza di senso della storia, che finisce con l’appiattire tutto in una sorte di perenne contemporaneità, dai primi due capitoli del volume, rispettivamente dedicati a una descrizione soggettiva dell’esperienza di docente (pp. 3-38) e a una rilevazione oggettiva delle questioni analizzate (pp. 39-79), emerge chiaramente come — malgrado le opportunità che gli appartenenti alla generazione della rete abbiano per essere “connessi” e partecipi di ciò che accade intorno a loro — il problema maggiore sia quello di una loro completa “disconnessione” dal contesto: colpisce l’assoluta mancanza di riferimenti civici e di conoscenza delle coordinate essenziali della vita pubblica, l’incapacità a cogliere criticamente i nessi logico-temporali tra gli eventi, la difficoltà ad uscire da una dimensione puramente individuale, per cui i protagonisti della storia sono oggetto di giudizi che sembrano riferiti alla sfera personale, come se tutto si riducesse a mettere un pollice verso o un pollice recto accanto al loro nome.

Passando dalla diagnosi alla terapia, nel terzo capitolo (pp. 80-140) De Nicolò ricorda i danni provocati negli scorsi decenni dai tagli al sistema pubblico dell’istruzione, cui parallelamente si affiancava un vero e proprio sovvertimento dei valori, che giustamente viene datato a partire dalla strapotere della televisione commerciale. Il declino formativo che ne è derivato è sotto gli occhi di tutti e qui l’autore cita i principali dati che lo evidenziano: dispersione scolastica e povertà educativa, scarse competenze linguistiche, alto numero di giovani che non studiano e non lavorano, svilimento della scuola e del ruolo degli insegnanti, atteggiamento iperprotettivo dei genitori, e altro ancora.

Ma il volume non si limita a segnalare i dati negativi: nelle pagine conclusive vengono ricordati alcuni segnali incoraggianti, come la sensibilità ambientalista rappresentata dal movimento Fridays for Future oppure casi di appassionata partecipazione alla vita pubblica, come le “Sardine”. Se scuola e università riuscissero a offrire più stimoli, dando e chiedendo di più, forse la situazione potrebbe cambiare.

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