In questi giorni si sta discutendo molto sull’emendamento alla legge di bilancio proposto da alcuni parlamentari della maggioranza (Federico Mollicone per Fratelli d’Italia, Rossano Sasso in quota Lega e Rita Dalla Chiesa di Forza Italia), volto ad abrogare la App18, che dal 2016 concede ai diciottenni un bonus da 500 euro spendibile in consumi culturali. Secondo i proponenti, i 230 milioni l’anno previsti per il bonus andrebbero dirottati verso altre misure, sempre in ambito culturale, come l’incremento del welfare per i lavoratori dello spettacolo, la rievocazione de “La Girandola” di Castel Sant’Angelo a Roma, le celebrazioni per i 150 anni della nascita di Marconi, i carnevali storici e altro ancora. Di fronte alla levata di scudi che ha visto concordi varie personalità e organizzazioni del mondo della cultura, cui il web e i giornali hanno dato ampio risalto (un comunicato congiunto si può leggere qui), le forze politiche di maggioranza – che ci tengono a precisare che le risorse non escono dal perimetro culturale – hanno fatto parzialmente marcia indietro, e dicono ora che è prevista l’istituzione di una nuova “carta per la cultura” destinata a giovani e famiglie, ma solo per chi è al di sotto di una soglia ISEE da determinare. Il ministro Sangiuliano e la (anzi, il) presidente Meloni hanno sposato questa linea, per cui è molto probabile che l’emendamento – sia pure con una formulazione diversa, qualche girandola e qualche carnevale n meno – verrà accolto.
Questa che dovrebbe essere solo una “rimodulazione” conferma invece, a mio parere, che la ratio del provvedimento stravolge totalmente gli obiettivi del bonus ai diciottenni. Indirettamente, si trattava di un sostegno alla produzione culturale, ma – se pure l’intera somma venisse destinata a provvidenze per gli operatori culturali, il che non è – sarebbe del tutto sbagliato ritenere che dare un contributo a chi produce e vende libri o DVD musicali equivalga a dare un contributo a chi deve acquistarli. Il sostegno alla domanda è altra cosa rispetto al sostegno alle imprese. Lo scopo della App, infatti, era quello di incentivare la partecipazione culturale, offrendo ai giovani che si affacciavano all’età adulta la possibilità di scegliere autonomamente verso quali consumi culturali orientarsi: i 441.480 giovani che nel 2021 hanno beneficiato del bonus hanno speso il 66% delle somme disponibili per acquistare libri cartacei ed e-book, il 25% per l’ingresso a concerti o l’acquisto di prodotti musicali, il 3% per andare al cinema, e via via importi minori per altri consumi cultuali (corsi di lingue, ingressi a teatri e musei etc.). Una delle motivazioni accampate dai politici della destra per abrogare la App18 è che a volte venivano commessi degli abusi e i giovani facevano solo da prestanome per acquisti fatti da altri: questa affermazione non è del tutto inesatta, perché sono stati accertati acquisti impropri per il 3,75% degli importi disponibili. Ma l’effetto positivo del bonus è dimostrato dai dati Istat sulla lettura. Le statistiche, infatti, ci dicono che negli anni 2010-2016, in cui c’è stata una forte contrazione della lettura: nella fascia d’età 15-17, che da lì a poco sarebbe stata destinataria del bonus, la quota dei lettori era calata dal 59,1% al 47,1%, che in cifre assolute equivale a 241.000 lettori in meno. L’effetto della App18 ha invertito questo trend negativo e nel triennio successivo, nella fascia di età 18-21 anni (vale a dire tra i giovani che hanno usufruito del bonus), sono stati rilevati 183.000 lettori in più e la percentuale è passata dal 46,8% del 2016 al 53,4% del 2017, al 51,1% del 2018, e infine al 54% del 2019: si tratta in assoluto dell’unica fascia di età con un sensibile aumento nel periodo, e sembra evidente la relazione fra questo aumento e il bonus cultura per i diciottenni. In linea teorica verrebbe da dire che la misura andrebbe addirittura estesa ad altre fasce d’età – se fosse possibile, ma non è questo il momento per allargare il fronte – e andrebbe pure prevista la possibilità di detrarre dalle tasse le somme spese per acquisto di libri, come avviene per le spese sanitarie, per l’acquisto di elettrodomestici a basso consumo etc.
Quindi, se pure fosse vero che il 3,75% delle somme sono andate via in truffe, il resto mi pare che abbia prodotto buoni frutti. Un’ultima cosa va detta a proposito della soglia ISEE (certificazione sulla cui veridicità si possono nutrire seri dubbi, considerato che l’evasione fiscale è ben superiore al 3,75%). È concettualmente sbagliato ritenere che i consumi culturali vadano incentivati solo tra i “poveri” e che i giovani di famiglia benestante non abbiano bisogno di stimoli per accostarsi alla cultura, alle librerie, ai teatri, ai musei, ai festival, e così via. Il rischio di povertà educativa e culturale è diffuso e non è sempre direttamente proporzionale al reddito della famiglia di provenienza. Disporre di 500 euro spendibili solo in cultura è un forte incentivo per chi spenderebbe i propri soldi sono in altro modo.
Gli anni dell’adolescenza e dell’ingresso nell’età adulta sono molto delicati e tutti i giovani vanno accompagnati e sostenuti in un passaggio che può non solo segnare il loro futuro personale, ma che avrà conseguenze collettive, per l’intera società. Non basta innaffiare le piante più gracili: anche quelle apparentemente più robuste possono seccarsi, se non le accudiamo.