Fuga dal lavoro: le grandi dimissioni alla ricerca di un piano B

Il rapporto tra gli individui e il lavoro sta cambiando profondamente: me ne ero già occupato qualche mese fa su queste pagine. Un’onda crescente di lavoratori, provenienti da settori diversi e con motivazioni variegate, ha deciso, a partire dai mesi immediatamente successivi alla pandemia, di abbandonare il proprio impiego, per andare alla ricerca di una nuova identità e di uno spazio personale in cui ritrovare sé stessi. Per qualcuno è stato il risultato di un lento e doloroso processo di presa di coscienza, per altri una necessità improvvisa di cambiare vita, magari affidandosi a un piano B, con minori certezze ma in cui sentirsi liberi.

«Ci hanno sempre ripetuto che il lavoro è ciò che ci definisce, il fondamento della nostra dignità di esseri umani», afferma la sociologa Francesca Coin, discutendo il fenomeno dell’allontanamento volontario dal lavoro, che va diffondendosi sempre più, o quanto meno del rifiuto del lavoro quale connotato identitario dell’uomo come appartenente a un contesto economico e sociale: in pochi decenni siamo passati da una società “fondata sul lavoro”, come avevano scritto nella Costituzione repubblicana i nostri Padri costituenti, a una vera e propria fuga dal lavoro, cui non si riconosce più la funzione di strumento più elevato della partecipazione sociale. La Coin ne ha discusso in un bel libro dello scorso anno, Le grandi dimissioni, pubblicato da Einaudi, che ha analizzato a fondo la crisi che accompagna il rapporto tra una generazione, o forse più di una, di lavoratori e le condizioni lavorative. Molto interessanti anche le argomentazioni che Coin usa in questa intervista.

È una difficoltà che non riguarda solo chi vive situazioni di precarietà e incertezza, ma anche chi aveva raggiunto posizioni lavorative che fino a poco tempo fa avremmo definiti “invidiabili”. 

Esce ora per Edizioni Lavoro un altro volume sullo stesso tema, Fuga dal lavoro di Matilde Gulmanelli: il fenomeno sconvolge il tradizionale concetto di stabilità lavorativa ed è la diretta conseguenza dello stravolgimento dei tempi di vita e di lavoro provocati dalla pandemia, dallo smartworking al ripensamento degli obiettivi personali ed esistenziali, fino alla pratica di nuovi modelli di work-life balance.

Anche i risultati di un’inchiesta pubblicata sulle pagine del quotidiano “la Repubblica” sono confluiti in un libro, Piano B. Cambiare vita è possibile, edito da Sonzogno. Viene da chiedersi se tanti lavoratori, in particolare giovani, sono in fuga da “questo” lavoro, che non li soddisfa e che non coincide con il loro progetto di vita o se la crisi sia ancora più profonda, e  non riguardi piuttosto un modello culturale e valoriale di società. Cambiare lavoro o cambiare vita?

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