Si è chiusa ieri a Conversano la nona edizione del festival Lectorinfabula, centrato sulla necessità di ridurre la diseguaglianza (nel reddito, nelle opportunità, tra i generi, nelle condizioni di vita, in tutte quelle occasioni in cui si esercitano i diritti di cittadinanza…).
Il tema si pone con forza anche rispetto all’accesso alla conoscenza e all’istruzione. Divari, squilibri e diseguaglianze sono molto forti tra Nord e Sud del nostro paese e tra l’Italia e il resto d’Europa: si pensi ai tassi di lettura, ai livelli di dispersione scolastica, al numero di diplomati e laureati, e così via. La crisi picchia duro e colpisce maggiormente i settori storicamente già più svantaggiati. Ci sono allarmanti segnali di trasmissione trans-generazionale delle diseguaglianze nell’accesso alla conoscenza; le statistiche ci dicono che rischiamo di bruciare in pochi anni le conquiste di un trentennio: abbandona la scuola il 31% di chi ha genitori privi di una qualificazione e il 4% dei figli dei laureati, si iscrive all’università il 48% dei giovani che provengono da famiglie operaie e il 78% dei figli della media e alta borghesia.
Potremmo continuare a sgranare il rosario dei dati che dimostrano in modo inequivocabile la fase di arretramento che stiamo attraversando. Non accedere all’istruzione e alla conoscenza significa essere più poveri, avere minori possibilità di trovare un lavoro qualificato, di essere “inclusi” nella società, di poter decidere della propria vita.
Rispetto a tutto questo, risulta francamente assai fastidiosa certa retorica meritocratica, che – pretendendo di valutare i risultati senza tener conto delle opportunità – diviene di fatto solo un alibi morale e una definitiva legittimazione delle diseguaglianze che spesso hanno origine nelle condizioni socio-economiche e nell’ambiente di provenienza.