Cosa c’è nel bicchiere

Riprendo, dopo un silenzio di alcuni mesi (durante i quali mi sono dovuto concentrare su un’urgenza di carattere personale) queste mie riflessioni su conoscenza et similia.

Come spesso accade quando si parte dai dati, si tende a dividere il mondo tra ottimisti, che mostrano fiducia nei segnali positivi, e pessimisti o incontentabili, che si lamentano sempre. Io sono stato iscritto d’ufficio a questa seconda categoria, cui per carattere non appartengo. Anzi, essendo sostanzialmente un combattente, dovrei essere assimilato forse agli ottimisti. Ma partecipo volentieri a questo gioco e recito la parte che mi è stata assegnata mio malgrado.

A mio avviso, piuttosto che dividerci tra chi vede il bicchiere mezzo pieno e chi il bicchiere mezzo vuoto, dovremmo guardare cosa c’è nel bicchiere. Lo dico perché una lettura ideologica dei dati, fatta attraverso gli occhiali dell’ottimismo o del pessimismo, ci porta a cercare aprioristicamente gli aspetti positivi o quelli negativi. Mentre un’analisi corretta deve prescindere da questo tipo di filtro: infatti, in entrambe le metà del bicchiere ci sono dati che dovrebbero interessare tutti, chi è più fiducioso e chi è più preoccupato. Per spiegarmi meglio, potrei dire che nella metà piena ci sono alcuni dati “economici” e nella metà vuota alcuni dati “sociali”. Ognuno di noi è portato, giustamente, a prestare maggiore attenzione a uno o all’altro di questi aspetti. Ma non bisogna lasciarsi prendere la mano. Lo dico col massimo rispetto per entrambi gli approcci.

Tra i dati economici positivi c’è il fatto che il mercato librario sta ricominciando a crescere, dopo anni di arretramento. Cresce come numero di libri venduti e come fatturato, quest’ultimo determinato anche da un aumento del prezzo di copertina (poco più di un euro). Non intendo assolutamente sminuire l’importanza di questo dato, che consente a editori e librai di tirare il fiato dopo anni di difficoltà acute. La loro sopravvivenza, il ritorno in molti casi a un segno positivo nei loro conti, sono aspetti fondamentali se vogliamo continuare a discutere delle cose di cui stiamo discutendo. Senza editori e senza librai, e senza gli autori ovviamente, non ci sarebbero i libri e quindi tutte le nostre analisi e le nostre discussioni non avrebbero senso. Ciò è anche il risultato del bonus per i 18enni? Può darsi, anche se la percentuale di lettori tra i 18enni sembra che non stia aumentando e ciò avvalora l’ipotesi che in molti casi quel bonus sia stato merce di scambio (i giovani hanno comprato conto terzi o hanno semplicemente fatto il bagarinaggio con la loro tessera). Ma è troppo presto per trarre conclusioni e vedremo meglio i risultati nei prossimi anni.

Comunque, pecunia non oletE quindi, viva il bicchiere mezzo pieno.

Ma nell’altra metà del bicchiere, in quella vuota, troviamo un dato di rilevanza sociale enorme e, per me molto grave: i lettori continuano a diminuire e siamo tornati indietro di 15 anni, al livello del 2001. Questo dato mi preoccupa, perché a quel 60% di italiani che non prende mai un libro in mano farebbe un gran bene leggere un libro e al paese intero farebbe bene che tutti leggessimo un po’ di più.

Sono pessimista se sottolineo questo aspetto? Se tutti fossimo semplicemente più realisti guarderemmo a entrambi questi aspetti. E ne trarremmo alcuni insegnamenti.

Per esempio, dopo esserci illusi che la lettura fosse un fenomeno anticiclico, impermeabile alle congiunture negative, ed aver dovuto invece prendere atto che questa volta la crisi dei consumi aveva trascinato verso il basso anche i dati dell’acquisto dei libri, potremmo ammettere che la leggera ripresa delle vendite registrata nell’ultimo anno è dovuta non a una riscoperta della lettura ma al fatto che i lettori forti, appartenenti a quel ceto medio penalizzato dalla crisi economica, ora stanno un po’ meglio e hanno comprato qualche libro in più. Se diminuiscono i lettori ma aumentano i libri venduti non c’è, a mio avviso, altra spiegazione.

E poi c’è un’altra considerazione da fare. L’obiettivo di una politica culturale dovrebbe essere quello di allargare le basi sociali della lettura e ciò corrisponderebbe anche a ampliare e rafforzare un mercato in cui editori e librai potrebbero prosperare. Se ciò accadesse, andremmo tutti d’accordo, ottimisti e pessimisti, idealisti e realisti.

 

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