Il volumetto sulla cultura orizzontale, scritto da Giorgio Zanchini e da me per Laterza, è arrivato il libreria il 20 febbraio, immediatamente prima che l’emergenza Coronavirus sconvolgesse le nostre abitudini di vita. In quelle pagine, provando a descrivere le pratiche culturali all’epoca della rete, dedicavamo ampio spazio agli effetti della connessione in mobilità, che non ammette confini e che ci segue ovunque, che entra nell’aria che respiriamo, che ci affranca da ogni vincolo e condizionamento spaziale, e che modifica anche la percezione dell’importanza dei tradizionali luoghi della cultura. Insomma, scrivevamo del “sapere mobile” come di una delle principali caratteristiche della nostra epoca e segnalavamo anche il rapporto dialettico con le tradizionali forme di trasmissione culturale, fondate sulla complessità, sulle competenze e sul rapporto di tipo verticale che si instaurava in passato tra chi produceva cultura e chi si accostava ad essa.
Parlare della vita culturale degli esseri umani del XXI secolo in questi termini fa oggi uno strano effetto, non solo perché in questo momento siamo tutti relegati in casa — e quindi fortemente condizionati da un luogo particolare, che però vede nella rete (e nelle trasmissioni radio-televisive) la possibilità di aprire una finestra sul mondo — ma anche perché tutti abbiamo la sensazione che, quando si uscirà dall’emergenza, nulla sarà più come prima: per la profondità della crisi economica che ci aspetta, per il peso sempre maggiore che finirà con l’assumere la dimensione della rete, e per la necessità di ricostruire su basi diverse il tessuto delle relazioni sociali e l’organizzazione della vita nelle comunità cittadine. Non potevamo prevedere questo scenario mentre lavoravamo al libro.
Una lunga recensione, pubblicata da Maria Teresa Carbone sul “Manifesto” del 1 aprile, accosta alcuni contenuti del nostro volume alla particolare contingenza in cui ci troviamo a vivere e si interroga su come sarà in un prossimo futuro la circolazione orizzontale del sapere, che forse ancora una volta non potrà fare a meno di combinarsi con un «sistema di trasmissione verticale, che aveva nella scuola il suo principale caposaldo e insieme alla scuola l’editoria, i giornali, le biblioteche». Senza prefigurare un consolatorio lieto fine, Maria Teresa Carbone scrive: «In un momento di crisi acuta è insomma emersa la necessità di attingere a informazioni veritiere e provate, così com’è probabile che si rinsaldi la fiducia nel sempre vituperato sistema scolastico, proprio quando, in questa situazione di emergenza, la scuola si trova a dover mettere in atto ogni possibile risorsa per non interrompere la didattica».