Come definire un lettore

L’osservatorio AIE (Associazione italiana editori) conduce periodicamente indagini sui comportamenti di lettura. Mettendo per ora da parte i risultati di queste ricerche, ne traggo spunto per una riflessione di metodo su che cosa le statistiche debbano intendere per ‘lettore’ e su quanto le risposte siano condizionate dal modo in cui vengono poste le domande. In una indagine rivolta al pubblico giovanile figura un quesito che mi lascia piuttosto perplesso. La domanda è così formulata: «Pensando agli ultimi 12 mesi le è capitato di leggere, anche solo in parte, un libro di qualsiasi genere, non solo di narrativa (come un romanzo, un giallo, un fumetto, un fantasy…) ma anche un saggio, un manuale, una guida di viaggio o di cucina… su carta o in formato digitale come un e-book, o di ascoltare un audiolibro? Non consideri le letture fatte per ragioni di studio o professionale».

Mi sembra evidente lo scopo di ridurre il più possibile l’autoselezione degli intervistati e di voler rilevare tutti coloro che nel tempo libero abbiano avuto per le mani un libro o qualcosa di simile. A questo punto viene voglia di comprendere il senso di un’indagine di questo tipo e dei dati che se ne ricavano. Non sono per niente convinto che dietro a ogni risposta affermativa ci sia davvero un lettore, anche perché non so cosa l’intervistato abbia inteso con quel “anche solo in parte”: è andato oltre la copertina? ha sfogliato distrattamente tutto il libro? ne ha letto 10 o 30 o 50 pagine? si è soffermato sulle illustrazioni?

Ogni indagine statistica è utile, perché ci fornisce informazioni, ma dobbiamo essere consapevoli che a ciascuna domanda e alla conseguente risposta coincidono informazioni diverse, il cui senso dipende dall’obiettivo che quella indagine si pone. Ogni indagine «trova quello che cerca e non sappiamo niente di tutto quello che non ha cercato», scrivono Fabio Lucidi, Fabio Alivernini e Arrigo Pedòn in Metodologia della ricerca qualitativa (Bologna, il Mulino, 2008). Per evitare di prendere fischi per fiaschi, però, dovremmo sapere con certezza cosa ha cercato.

Tornando al quesito da cui ho preso le mosse, ritengo che con quella indagine l’Osservatorio AIE non ci dica quanti sono i lettori, ma una cosa leggermente diversa, e cioè quante persone hanno un minimo di consuetudine con i libri e ricorrono ai libri per soddisfare bisogni formativi e informativi derivanti non solo da curiosità di natura ‘culturale’ ma da eventi della vita quotidiana. Questo dato è molto interessante (e lo è particolarmente oggi, quando le alternative extra-librarie sono molte e dotate di un forte appeal), ma non dobbiamo pensare che ci possa dire ciò che non è stato chiesto, e quindi non tutte le persone che rispondono affermativamente possono definirsi ‘lettori’.

Un problema simile si pone da oltre mezzo secolo, fin dalle primissime indagini Istat sulla lettura effettuate a metà degli anni Sessanta, che si sono poste l’obiettivo di rilevare il numero di italiani di 6 anni o più che avessero letto almeno un libro all’anno nel tempo libero. Questo modo di porre le domande ha sempre attirato molte critiche da parte di chi riteneva eccessiva la limitazione alla sola lettura per svago, senza considerare quella legata al lavoro e allo studio, oppure, sul versante opposto, perché si riteneva fuorviante accogliere nel popolo dei lettori anche chi avesse letto un solo libro, di qualsiasi genere. Certo, se queste indagini avessero avuto lo scopo di distinguere i lettori da chi non è interessato alla lettura – e spesso così sono state utilizzate – le critiche sarebbero condivisibili. Anche perché sappiamo che circa la metà di chi risponde di sì ha davvero letto un solo libro (e, ovviamente, anno per anno queste persone possono cambiare, per cui possiamo definirli lettori ‘intermittenti’ e casuali), i veri lettori sono i ‘lettori forti’, e cioè coloro che leggono un libro al mese (circa il 15% dei c.d. lettori) o quelli che leggono almeno 4-5 libri all’anno. Nessuno definirebbe ciclista chi ha inforcato la bici una sola volta nell’anno precedente all’intervista, ma solo chi la usa per recarsi tutti i giorni al lavoro o, quanto meno, per fare una passeggiata durante il week end. Col senno di poi, possiamo dire che negli anni Sessanta – in un Paese contrassegnato da livelli di istruzione bassissimi – era importante rilevare quanti italiani scegliessero, anche occasionalmente, di dedicare parte del proprio tempo libero alla lettura e usassero quindi i libri come strumento per la propria crescita personale.

Passati alcuni decenni, l’Istat ha cominciato a rilevare i dati che comprendono tutte le forme di lettura (tempo libero, studio e lavoro, e-book inclusi). Se valutassimo superficialmente questo cambiamento, potremmo pensare che si tratti solo di voler essere più ‘inclusivi’ o, peggio ancora, di voler gonfiare un po’ i dati e tirar su gli indici: infatti, la percentuale è di circa venti punti più alta rispetto alla sola lettura ‘per diletto’, ma il divario rispetto ad altre nazioni europee rimane sostanzialmente identico. Penso che questa rilevazione – effettuata dopo l’esplosione della rivoluzione digitale – ci dica qualcosa di diverso: quest’altro modo di rilevare e aggregare i dati ci consente di conoscere quanti italiani, nell’era della multimedialità, continuano a usare la comunicazione scritta per le attività di info-edu-entertainment.

Ma esiste un modo per sapere quanti sono i lettori, e in particolare i lettori non occasionali? Senza entrare nel terreno dei cambiamenti in corso nelle forme di lettura e volendo limitare lo sguardo a forme tradizionali (vale a dire la lettura di approfondimento praticata attraverso libri e giornali, magari ampliandola a qualsiasi tipo di supporto, cartaceo e digitale), ritengo che sia molto utile un dato che da qualche tempo l’Istat ricava dall’indagine Aspetti della vita quotidiana e mette a disposizione, e cioè la percentuale dei nostri connazionali di almeno 6 anni che ha letto almeno 4 libri all’anno e/o letto quotidiani con una frequenza di 3 o più volte la settimana. Il dato mi sembra interessante perché mette insieme la lettura di approfondimento (libri) e quella d’informazione (giornali), ma senza alzare troppo l’asticella (se, per esempio, si eliminasse “e/o” e si considerasse solo chi fa entrambe le cose). La serie storica ci dice che che la quota è stata del 35,9% nel 2022, mentre era del 36,6% nel 2021, del 38,0% nel 2019 e del 44,4% nel 2010, quando è iniziato un declino della lettura in Italia. Sono disponibili i dati anche disaggregati per classe d’età, ma non entro nel merito, perché in questa occasione mi interessava porre solo questioni di metodo. Magari ci torneremo su in un’altra occasione.

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