Anatomia di un premio letterario

Ho partecipato oggi a un dibattito tenutosi presso la Casa delle Letterature di Roma, che traeva spunto dal recente volume Caccia allo Strega scritto da Gianluigi Simonetti, docente di Letteratura italiana contemporanea all’Università di Losanna, e pubblicato da Nottetempo. È una ricostruzione corretta e rigorosa delle logiche che governano il più autorevole premio letterario italiano, al quale l’autore non risparmia osservazioni critiche, sulle quali tornerò tra poco, per discuterle e per tentare una replica, dove lo ritengo necessario. Mi preme però sottolineare un aspetto che mi ha fatto piacere ritrovare nel libro di Simonetti ed è questo il vero motivo per cui ho deciso di partecipare all’incontro: direi che sono state comprese nel senso giusto e fino in fondo le ragioni di alcuni cambiamenti introdotti negli scorsi anni nei meccanismi che regolano il premio.

Mi pare che l’autore abbia apprezzato gli sforzi che abbiamo compiuto nell’ultimo ventennio per rendere il premio sempre più libero e trasparente, più “scalabile” da parte di autori ed editori, anche quelli non appartenenti ai grandi gruppi, che non necessariamente godono i favori dei pronostici, modificando l’iter della presentazione delle candidature e allargando e diversificando molto la platea dei votanti. Una scelta che ha reso il premio ancora più rappresentativo dei gusti presenti nei diversi segmenti del pubblico dei lettori italiani e qui trovo interessanti le considerazioni di Simonetti a proposito del fatto che ciò comporti la ricerca di un compromesso «fra un’idea tradizionale e ancora novecentesca di “alto” e una implacabile, attualissima tendenza di “medio” [...] di facile accesso, ma accuratamente e visibilmente distinta dal puro consumo». Questa ricerca della leggibilità senza rinunciare alla qualità approda secondo Simonetti a una narrativa di “nobile intrattenimento”.  E fin qui posso essere d’accordo, anche perché questo spiegherebbe come mai vincere lo Strega, o semplicemente entrare in cinquina, incida tanto sulle vendite, consentendo a un libro di arrivare al grande pubblico, a chi si fida della fascetta e va in libreria per comprare “il libro del Premio Strega”, anche se non ricorda né il titolo né il nome di chi lo ha scritto. Non sono d’accordo, invece, quando si comincia a parlare di “libro da premio” e addirittura di un implicito condizionamento che finisce col determinare le caratteristiche, e perfino le tematiche, di libri scritti con l’obiettivo di concorrere al premio e vincerlo. Forse Simonetti ci attribuisce un potere che non pensiamo di avere e di cui non siamo alla ricerca. A mio avviso, la verità è che la produzione letteraria rispecchia i tempi e quando riesce a essere in sintonia con sentimenti diffusi, ciò può determinare il successo di un libro nelle vendite e forse anche tra i votanti di una competizione letteraria, specie di quelle che non controllate da una ristretta cerchia di critici e letterati, ma che affida il responso a categorie di lettori tanto diversi, anche se tutti molto qualificati (rappresentanti della società letteraria e del mondo culturale, esponenti delle istituzioni e del ceto imprenditoriale, lettori forti segnalati dalle librerie e dalle biblioteche, studenti, e altro ancora). In questo senso, l’albo d’oro dello Strega registra negli ultimi anni, ma forse lo faceva già in passato, ciò che la narrativa italiana offre: e lo fa sia dal punto di vista della qualità (non tutti gli anni vengono pubblicati capolavori e non sempre gli autori partecipano col loro libro migliore) sia per i temi e i toni che connotano i libri in gara, che anno per anno sono molto diversi. Nell’edizione 2023, per esempio, ritroviamo tante vite dolorose, mentre se andiamo a cercare un denominatore comune negli scorsi anni possiamo individuarlo di volta in volta nella narrazione storica, nell’autobiografismo, nella ricerca dell’altrove, e così via. È l’offerta editoriale a privilegiare ciclicamente ambientazioni e approcci e all’interno di questa offerta avviene la nostra scelta, cercando di garantire un assortimento delle varie voci che ci sembra di cogliere. Poi, per vincere, un libro deve piacere a tanti pubblici diversi e incontrare le rispettive sensibilità.

Un’ultima considerazione mi preme fare: non intendo pronunciarmi sui singoli libri su cui Simonetti si sofferma e sui giudizi che esprime, perché non sono un critico letterario e quindi potrei solo manifestare la mia opinione personale, una fra le tante, che vale meno di quelle di centinaia e centinaia di elettori che su quei libri si sono espressi, a volte in direzione diversa da Simonetti. 

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