I nostri comportamenti di consumo, e più in generale i nostri stili di vita, stanno cambiando profondamente e non so se siamo davvero consapevoli della portata di queste trasformazioni. Possiamo prendere ad esempio ciò che è accaduto negli ultimi anni nel campo dell’intrattenimento: sempre meno spesso “acquistiamo” i prodotti culturali o da usare per svago, e infatti i negozi che vendono dischi musicali sono una rarità, quelli che vendono o affittano film sono spariti del tutto, le sale cinematografiche si svuotano. La fruizione dei prodotti audiovisivi passa ormai quasi esclusivamente attraverso le piattaforme (Sky, Netflix, Amazon Prime, Dazn, Spotify e chi più ne ha più ne metta). Percepiamo il fenomeno essenzialmente nella sua dimensione tecnologica (risultato dell’evoluzione di internet, delle connessioni a banda larga via satellite e in mobilità, dello streaming), ma ad affermarsi è essenzialmente un modello di business: basta fare i conti e ci accorgeremo che in un anno sborsiamo molte centinaia di euro, forse qualche migliaio, per abbonarci a queste piattaforme e per accedere a un’offerta pressoché sterminata, di cui ci limitiamo a utilizzare solo una minima parte. Il grosso del guadagno non va nelle tasche di chi produce, ma di chi distribuisce.
A conferma del carattere prevalentemente economico di questo nuovo modello di consumo, possiamo notare che anche in ambiti molto diversi in buona sostanza sta accadendo qualcosa di simile. Ormai capita sempre più raramente di “acquistare” un’automobile. I concessionari sembrano poco interessati e vendere auto in contanti, ma preferiscono vendere un finanziamento: un piccolo anticipo, poi qualche anno di rate abbastanza abbordabili e infine una maxi-rata piuttosto alta, col risultato che a quel punto il cliente finisce in molti casi per restituire la macchina, prenderne una nuova e ricominciare punto e a capo col finanziamento. Praticamente, pagherà per decenni per avere una macchina sempre nuova, ma che non sarà mai sua. Infatti, il concessionario non ha venduto una macchina ma si è accaparrato un cliente per un tempo indefinito, forse per tutta la vita, vendendogli un finanziamento. Per il commerciante questa operazione è più conveniente che guadagnare qualche migliaio di euro con la vendita in contanti.
La spinta all’indebitamento ci consente di vivere al di sopra delle nostre possibilità e di accedere a stili di vito e di consumo che altrimenti non potremmo permetterci.
Mi viene in mente la vendita rateale di libri che spopolava negli anni Settanta, quando una generazione di studenti squattrinati o di genitori desiderosi di mettere un’enciclopedia a disposizione dei propri figli si affacciava sul mercato librario. Alcune sigle editoriali (prime fra tutti Treccani, UTET, Einaudi, ma anche altri) sguinzagliavano i loro agenti, che giravano porta a porta per intercettare questa fame di libri, questo desiderio di costituire biblioteche domestiche nell’Italia che cresceva. Ma la loro abilità, se ci pensiamo bene, non consisteva tanto nel vendere libri, ma nel vendere una rata, che per decenni avrebbe garantito un incasso per l’editore e una provvigione per l’agente. Quando il debito stava per esaurirsi, l’agente si riaffacciava e proponeva un aggiornamento dell’enciclopedia o qualche nuova opera, e così si aggiungeva qualche anno di rate. Ma non sempre le cose sono andate secondo le previsioni: qualcuno non pagava le rate, ma i libri frattanto erano irrecuperabili; le grandi opere (quelle che costavano di più e che quindi servivano a tenere alto l’importo della rata mensile o a prolungarne la durata) hanno esaurito la loro funzione e sono diventate invendibili; non a caso i marchi editoriali che maggiormente praticavano la vendita rateale sono andati in crisi.
Tornando al punto in cui eravamo partiti, penso che i protagonisti del mercato librario dovrebbero riflettere di più sui modelli di consumo basati sull’accesso piuttosto che sull’acquisto, comprendere i motivi del successo delle piattaforme di streaming, immaginare un mix tra i punti vendita “fisici” e il commercio elettronico, o qualcos’altro. Non saprei dire quale possa essere il risultato di queste considerazioni. Di certo mi sembra strano che il mercato librario (nel quale, ricordiamolo, ebook e audiolibri sono probabilmente destinati a crescere) alla lunga possa restare immune dal dilagare dello streaming e dalla smaterializzazione.