Leggere in biblioteca

Esce in questi giorni in libreria un mio volume pubblicato dall’Editrice Bibliografica, in cui raccolgo i risultati di alcune ricerche effettuate negli ultimi anni presso la Fondazione Bellonci e sostenute dalla Federazione Unitaria Italiana Scrittori (FUIS): obiettivo di queste indagini era un’analisi di dettaglio su cosa si legge nelle biblioteche pubbliche italiane, quanti e quali libri vengono acquistati per incrementare le collezioni, quali sono i titoli maggiormente chiesti in prestito dai diversi segmenti di pubblico, in che modo si stanno diffondendo le pubblicazioni digitali (e-book, giornali online, audiolibri etc.) e che impatto stanno avendo sui comportamenti dei lettori. La gran mole e la robustezza dei dati utilizzati (gli acquisti effettuati dalla metà quasi delle nostre biblioteche di base, le scelte compiute da oltre un centinaio di gruppi di lettura, trenta milioni di operazioni di prestito registrate nei principali sistemi bibliotecari italiani, l’uso del digitale in ottomila biblioteche pubbliche e scolastiche) e l’arco temporale considerato, che va dal 2018 al 2023, ci consentono di dire che il panorama che ne scaturisce può essere considerato piuttosto rappresentativo, anche se ovviamente la varietà e la capillarità dei servizio bibliotecario sul territorio nazionale può presentare casi particolari differenti e in controtendenza. Anticipo qui, in sintesi, alcuni degli spunti che emergono da queste ricerche:

  • Per prima cosa, dobbiamo prendere atto di uno stato di salute delle biblioteche poco rassicurante. I dati sull’utenza sono in calo di un 30% circa e quasi ovunque il numero dei prestiti annui è inferiore a quello totalizzato negli anni pre-Covid.
  • Va detto anche che sarebbe sbagliato, e forse illusorio, ritenere che le biblioteche pubbliche vivano in un proprio mondo, parallelo o distante rispetto a ciò che accade nel resto dell’universo della lettura. Le scelte di acquisto dei bibliotecari e le preferenze degli utenti, infatti, non si discostano di molto da ciò che avviene nel mercato librario. Anche la presunta “bibliodiversità”, che le biblioteche vorrebbero garantire, non trova conferma nei dati: indubbiamente esistono alcune peculiarità, ma quando vediamo che più della metà dei prestiti riguarda libri pubblicati dai grandi gruppi editoriali, e quando troviamo ai primi posti nella graduatoria dei titoli più prestati L’amica geniale di Elena Ferrante tra i libri per adulti e il Diario di una schiappa di Jeff Kinney tra quelli per ragazzi è molto difficile sostenere questa tesi. Del resto, la “bibliodiversità” ha un costo e possono permettersela solo le biblioteche che dispongono di un budget elevato, perché l’acquisto dell’ultima pubblicazione di un autore emergente o del titolo prodotto da un editore di nicchia può avvenire solo dopo aver garantito un’offerta “basica” e aver soddisfatto le richieste più frequenti.
  • Un altro elemento di riflessione, in parte derivato da quanto appena detto, riguarda l’ampiezza del ventaglio di scelta su cui si distribuisce la domanda. E qui emergono situazioni molto differenti. Per quanto riguarda le collezioni cartacee possiamo notare un dato strutturale, dovuto alla presenza di poche copie dei titoli più richiesti, per cui il pubblico che desidera leggere un romanzo di grande successo deve necessariamente orientarsi su altri titoli o mettersi in attesa che il libro desiderato torni a essere disponibile: ne consegue che la classifica dei libri più prestati è in fisiologico ritardo rispetto a quella dei libri più venduti e che i cento libri più prestati equivalgono al massimo al 4% del totale dei prestiti annui. Col servizio di prestito digitale, invece, può accadere che un ebook vada in prestito a più utenti contemporaneamente, per cui c’è una maggiore reattività delle biblioteche, ma anche un appiattimento sulle novità e sui bestseller: infatti i cento titoli più prestati corrispondono a quasi il 10% del totale. Un caso particolare — e, a mio avviso preoccupante — riguarda i libri per ragazzi, dove si assiste a una polarizzazione delle richieste su pochissimi titoli: dobbiamo constatare che esiste ancora un “canone”, per cui intere generazioni si concentrano su alcune saghe, come Harry Potter o la schiappa di Jeff Kinney, già citata in precedenza. Va sottolineato, però, che a differenza di quanto accade nella narrativa per adulti, nel comparto della letteratura per l’infanzia sono presenti in posizione preminente molti titoli pubblicati da marchi medi e piccoli, che operano anche al di fuori delle grosse concentrazioni editoriali.
  • Una realtà interessante sono i gruppi di lettura. Le loro scelte sono molto attente alla qualità e lontane dai gusti mainstream, ma sembrano non avere un’influenza al di là della stretta cerchia dei partecipanti a questi circoli, estendendosi anche agli altri frequentatori delle stesse biblioteche in cui questi gruppi si riuniscono. Invece che essere un “corpo separato” o una élite sofisticata, i gruppi di lettura potrebbero essere maggiormente coinvolti nella progettazione delle collezioni, chiedendo loro suggerimenti per gli acquisti, recensioni e schede di presentazione dei libri, organizzando incontri periodici con librai, editori e altri utenti per una migliore conoscenza dei filoni più originali e interessanti della produzione corrente. In questo modo i gruppi potrebbero disseminare in modo più esteso i risultati della loro attività.
  • Ma possiamo segnalare ancora una questione. Tornando al digitale, un insegnamento che si trae dai dati è che non ci si può illudere che l’innovazione tecnologica sia utilizzabile come scorciatoia per ridurre o azzerare un ritardo storico o per recuperare quote di utenza se non si è capaci di marcare un’incisiva presenza sul territorio. Sulla piattaforma Media Library On Line, la principale rete di servizi digitali, le biblioteche lombarde effettuano mezzo milione di prestiti digitali all’anno, mentre tutte le regioni meridionali messe insieme non arrivano a 50.000. Da questi dati sembra evidente che i servizi digitali non sono di grande aiuto per le biblioteche che sono in posizioni di retroguardia, perché la transizione al digitale non accorcia ma acuisce le distanze tra realtà arretrate e realtà avanzate, che si dimostrano più pronte a cogliere le opportunità e a innestare tempestivamente servizi innovativi su un livello di funzionalità inizialmente già più elevato.

Su questi e su altri temi presenti nel volume mi auguro che possa accendersi un po’ di discussione.  

 

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