C’è speranza se questo accade a… Teramo

Nel 1963 Mario Lodi, uno dei più straordinari protagonisti di una stagione di grande rinnovamento della scuola italiana, pubblicò C’è speranza se questo accade al Vho, diario della sua decennale esperienza di maestro elementare a Vho, frazione di Piadena Drizzona in provincia di Cremona. È un’esperienza di cambiamento profondo, in un territorio molto difficile, un’esperienza impostata all’insegna della condivisione: Mario Lodi fu, infatti, tra i fondatori del Movimento di cooperazione educativa. Tutti i tentativi di trasformazione, se non vogliono fermarsi in superficie e non vogliono essere effimeri, hanno bisogno di buone pratiche, alle quali ispirarsi e da cui trarre coraggio e forza per consolidarsi, creare l’emulazione e mettere radici. Forse è per questo motivo che il libro di Lodi ha avuto grande successo, è stato più volte ristampato, è diventato una bandiera per chi crede che occuparsi dei bambini e migliorare la scuola vuol dire avere a cuore il futuro di tutti.

Vale anche per la promozione della lettura e per le tante persone che, professionalmente o volontariamente, si impegnano con grande passione per diffondere l’uso del libro e della lettura profonda per l’accesso alla conoscenza e acquisire consapevolezza e senso critico, imparare a guardarsi intorno e a leggere il mondo che ci circonda. Per questo motivo desidero aprire uno spazio, dar vita a una sorta di rubrica all’interno di questo blog, per segnalare e raccontare buone pratiche, quelle che accendono la speranza.

Questo preambolo, forse troppo lungo, era necessario per cercare di comunicare l’esperienza emozionante che ho vissuto un paio di giorni fa a Teramo. Nelle regioni centro-meridionali della penisola sono rare le occasioni per sorprendersi, per entrare in contatto con attività di partecipazione culturale che sembrano avere tutte le carte in regola per intercettare i bisogni e i desideri – sono cose diverse, sia quando sono espliciti che quando sono inespressi – dei cittadini: tante volte ho parlato delle biblioteche del Sud etichettandole, purtroppo, come “il Sud delle biblioteche”. 

Non me ne vogliano gli amici teramani se parlo con stupore di ciò che ho visto nella loro città: non per pregiudizio né per sfiducia, ma per esperienza, la percezione diffusa è che in quei territori le biblioteche abbiano una scarsa capacità di incidere nella vita quotidiana della gente, perché hanno sempre privilegiato la conservazione del patrimonio storico e i servizi rivolti a un pubblico ristretto fatto di studenti e di chi coltiva studi eruditi, perché soffrono per una cronica penuria di risorse (in termini di budget e di personale) e di conseguenza osservano orari di apertura molto limitati e sono incapaci di rappresentare nella loro offerta la produzione culturale ed editoriale più stimolante. E non dobbiamo risentirci se il ceto politico si mostra poco attento nei confronti di strutture di questo tipo, che sono piuttosto marginali rispetto alla vita delle comunità locali: può capitare che il serpente si morda la coda. Questa immagine stereotipata vale per gran parte delle biblioteche pubbliche – che di “pubblico” hanno ben poco – esistenti nelle città del Centro-Sud e, tutto sommato, vale anche per la ex Biblioteca Provinciale, ora regionale, “Melchiorre Delfico” di Teramo. Ma, e qui arriva la sorpresa, a un certo punto la buona volontà e l’intraprendenza di alcuni operatori, la illuminata disponibilità degli amministratori comunali, le energie delle forze dell’associazionismo e del volontariato hanno trovato un punto di convergenza nella stipula del Patto per la lettura. E, per dare concretezza a questo ribaltamento della tradizione, hanno cominciato a fare cose inedite, che a qualcuno saranno sembrate perfino strane, in particolare da quelle parti: con il coinvolgimento di oltre sessanta enti e associazioni sono state avviate attività di lettura condivisa in ambienti in cui spesso i libri non entrano, nei luoghi di lavoro, in una casa famiglia, in un istituto penitenziario, in ospedale. Il progetto ha un nome che lo rappresenta perfettamente: Entrare dove non si entra. L’approdo di questo percorso virtuoso, anzi una tappa da cui partire verso obiettivi più ambiziosi, è stata la inaugurazione lo scorso 31 maggio, in uno spazio esterno ma contiguo alla biblioteca, di una “casa del patto” che i firmatari di questo accordo gestiranno autonomamente, in modo da stabilire un corretto punto di equilibrio tra la funzione di stimolo che spetta ai servizi pubblici e il protagonismo delle associazioni.

Buona lettura a tutti i teramani: c’è speranza se nella vostra città accadono queste cose.

 

 

 

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