I dati che l’Associazione Italiana Editori ha reso noti recentemente, per quanto venati da troppo ottimismo (un atteggiamento comprensibile da parte di chi rappresenta l’industria editoriale, ma che non appare del tutto giustificato), ci dicono che forse le pratiche di lettura si identificano sempre meno con l’oggetto libro. Le rilevazioni riportano una quota del 74% di lettori tra le persone di età compresa fra i 15 e i 74 anni: ma il dato include anche chi ha letto un libro solo in parte. L’indice sarebbe in crescita rispetto all’anno precedente (nel 2022 era del 71%). Ma c’è poco da stare allegri: infatti, cala la percentuale di chi legge con frequenza almeno settimanale e si riduce anche il tempo medio dedicato alla lettura (è ora di 4 ore e 18 minuti a settimana).
Quindi è importante intendersi su cosa stiamo rilevando, fermo restando che – per i processi di apprendimento che implica – la lettura di libri, o quanto meno la “lettura profonda” di testi complessi sono altra cosa rispetto alla lettura di altre tipologie di testi scritti, a volte frammentati. Vero è che sono più di dieci milioni gli utenti delle piattaforme social che hanno fruito di contenuti narrativi, ma è evidente che si sta parlando di cose diverse. Il tasso di lettura degli italiani rilevato da AIE, infatti, differisce profondamente da quello rilevato da ISTAT a causa del tipo di domanda diversa che è stato posta ai due campioni intervistati, a loro volta espressione di fasce di popolazione differenti.