Sulle pagine del quotidiano “La Stampa” si è avviato da qualche giorno un interessante dibattito sulla presenza dei temi della cultura nei programmi che le forze politiche hanno predisposto per le prossime elezioni. Ha cominciato lo scrittore Nicola Lagioia il 24 agosto, prosegue oggi Gianni Oliva, già assessore alla Cultura della Regione Piemonte. Lagioia lamenta la disattenzione dei partiti e pone l’accento sull’editoria, ricordando che il mercato librario e la vivacità dei festival si reggono solo sul pubblico dei lettori (pochi, ma non pochissimi), auspicando un maggiore impegno per la promozione della lettura e un sostegno che ad altri comparti culturali, come il cinema, non viene negato. Oliva sottolinea invece la centralità della scuola, anch’essa poco presente nei programmi elettorali, e formula alcune proposte sulla ridefinizione dei cicli, l’adeguamento delle strutture, l’aggiornamento degli insegnanti.
Premetto che non credo molto ai programmi, e non per diffidenza nei confronti dei partiti e della sincerità dei loro propositi, ma per il fatto che di solito sono gli eventi a dettare l’agenda politica (nessuno, alla vigilia delle elezioni del 2018 avrebbe previsto che Governo e Parlamento avrebbero dovuto misurarsi con la crisi pandemica, la guerra in Ucraina e il rincaro delle fonti energetiche). Tuttavia, i programmi sono importanti, perché esplicitano le sensibilità delle diverse forze in campo rispetto alle varie questioni e il metodo con cui individueranno le priorità e cercheranno di risolvere i problemi: mettere al primo posto le tasse, o i diritti, o il lavoro, o l’ambiente, o l’istruzione, e così via, non è esattamente la stessa cosa. E nel tempo questa differenza di approccio si farà sentire, qualsiasi emergenza si debba affrontare.
Ma torniamo ai programmi dei partiti, nei quali i temi della cultura, della formazione e della partecipazione dei cittadini alla vita culturale entrano di striscio o sono addirittura del tutto assenti. Non deve stupire che accada questo: se i programmi servono per catturare l’attenzione e i voti degli elettori, è ovvio che si dia poco spazio a una questione che per molti italiani è di scarso rilievo. Una rassegna, proposta da una testata specializzata, sottolinea l’assenza di un disegno organico per la cultura nelle dichiarazioni programmatiche delle forze in campo: sembra quasi che le proposte siano state buttate lì a caso, elencando frettolosamente alcune questioni e dimenticandone altre, perché nessuno si è applicato con un po’ di impegno nel formulare qualche idea in proposito.
Cominciamo dalla schieramento che tutti i pronostici danno per favorito, e cioè l’alleanza tra i Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, la Lega di Matteo Salvini e Forza Italia di Silvio Berlusconi. L’ultimo dei dieci punti programmatici del Centro-destra è dedicato a “Made in Italy, cultura e turismo” e propone genericamente azioni per “valorizzare la bellezza”, per un “sostegno alla presenza dell’Italia nei circuiti dei grandi eventi internazionali”, etc. Interessante, però, l’accenno alla “valorizzazione delle professionalità culturali che costituiscono il volano economico e identitario italiano”.
Il PD ha una proposta forte, ma divisiva, sulla scuola: l’estensione dell’obbligo dai 3 ai 18 anni. Per il resto, si parla di “investire nello sport e nella cultura come strumenti in grado di creare apertura, superamento degli stereotipi di genere, benessere condiviso, nuovi spazi di socialità e nuove occasioni di realizzazione personale”. Troviamo poi generiche manifestazioni d’intenti a proposito di digitalizzazione, rafforzamento del sistema museale e altri cavalli di battaglia cari al ministro Franceschini, la conferma del bonus diciottenni, il piano per il rilancio dei borghi. Leggiamo poi la proposta di istituire un “Fondo nazionale per il pluralismo, l’informazione di qualità e il contrasto alla disinformazione” (peraltro già esistente dal 2016). Buona, infine, l’idea di promuovere un “Erasmus nazionale” legato ai temi culturali.
Il Movimento 5 Stelle dice molto poco nel suo programma: parla di assunzioni per il Ministero dei Beni Culturali (che non si chiama più così da quasi due anni) e della necessita di un “freno alle esternalizzazioni e contrasto all’uso distorto del volontariato e dei lavoratori della cultura”.
Il programma del Terzo polo (Azione-Italia Viva) affianca propositi molto vaghi (“finanziare la carta stampata”, “potenziare il mecenatismo culturale”, “potenziare gli istituti italiani di cultura all’estero”), a idee concrete, come il raddoppio con fondi pubblici delle donazioni fatte da privati in favore della cultura, la proposta di creare un carnet di dieci ingressi gratuiti per musei, mostre e teatri da regalare alle famiglie con ISEE inferiore ai 15.000 euro, un viaggio d’istruzione gratis a Roma per tutti gli under 25 italiani, finanziamenti alle librerie che organizzano corsi di lettura per bambini.
L’alleanza Verdi-Sinistra Italiana ripropone la retorica della cultura come “petrolio” e ribadisce la necessità di attuare l’art.9 della Costituzione. In concreto, si propone la modifica dell’articolo 142 del Codice dei Beni Culturali, estendendo anche ai centri storici le tutele previste per il paesaggio. C’è poi un punto in cui si manifesta la volontà di tutelare i lavoratori precari della cultura, tra i più colpiti dalla pandemia.
Insomma, poche idee ma confuse.