Gli italiani che hanno deciso di trascorrere sulle Alpi o sull’Appennino questa strana estate del 2020, per i noti motivi che sconsigliavano gli spostamenti verso l’estero o le località marine più affollate, recandosi in qualche borgo delle nostre montagne, hanno avuto l’occasione per conoscere luoghi di grande fascino, ma hanno anche scoperto e condiviso per qualche giorno le tante piccole e grandi difficoltà che costellano l’esistenza quotidiana di chi vive stabilmente in quei luoghi. Ciò che rende davvero “periferici” i territori montani non sono le distanze – quei paesini sono spesso dietro l’angolo e non a caso di è parlato di vacanze “di prossimità” -, ma i collegamenti.
Oggi, si sa, il mezzo di trasporto strategicamente più importante è la rete. Una ricerca prodotta dall’Unione nazionale delle comunità e degli enti montani (UNCEM) è giunta a conclusioni molto chiare: «Se non si vogliono far morire le comunità montane, 3.850 comuni, la metà dei centri italiani, il 54% del territorio, otto milioni di abitanti che rappresentano 13 punti di Pil, bisogna fare presto. E colmare il gap digitale che è divenuto ormai insostenibile». In ben 3 comuni montani su 4, meno del 40% delle unità immobiliari è servito dalla banda ultra larga. E non stiamo parlando solo di Internet. Qualche dato di dettaglio presente nel dossier può rendere ancora più palpabile l’impatto di questo divario infrastrutturale: si pensi che quasi 5 milioni di cittadini non vedono i canali Rai e che in 1.200 Comuni si registrano problemi con uno o più operatori di telefonia mobile, per non parlare di telemedicina o di altri servizi telematici avanzati. Un vero e proprio lockdown ante litteram, che dura da sempre e che proprio durante la pandemia ha mostrato cosa significa vivere “al confino”, senza possibilità di accedere alla didattica a distanza o al telelavoro, per fare qualche esempio. Un’esistenza senza rete, col rischio di perdere ogni contatto col resto del mondo e di sprofondare in una dimensione da piccolo mondo antico senza futuro.