Chi analizza e descrive le trasformazioni in atto nelle pratiche culturali – manifestatesi già prima della pandemia – spesso propone un racconto in cui prevalgono gli elementi di preoccupazione e l’allarme è andato crescendo in questi ultimi mesi, per motivi che qui sarebbe superfluo sottolineare. Gli elementi di incertezza, i lati poco chiari, e talvolta addirittura contraddittori, che caratterizzano in questa fase il mondo delle pratiche culturali non sono tutti di segno negativo e lasciano pensare che gli spunti per una ripresa potrebbero nascere dove meno te l’aspetti.
Durante il lockdown, infatti, mentre tra marzo e aprile le vendite di libri calavano del 70%, il commercio online ha avuto una prevedibile impennata e Amazon ha visto crescere ricavi e profitti; ma abbiamo assistito anche a un fenomeno in assoluta controtendenza, come la rinascita di alcune piccole librerie indipendenti, che sono riuscite a mantenere un solido rapporto con la propria clientela, affidandosi ai social network e organizzando iniziative sul web; i librai più intraprendenti non si sono mai fermati, hanno inforcato la bicicletta e hanno organizzato la consegna dei libri a domicilio. Anche dopo la riapertura, questi esercizi hanno vissuto una stagione di rilancio: le fosche previsioni vengono messe in discussione e si sta recuperando una buona parte di quanto era stato perso nei primi mesi dell’anno (la perdita del fatturato si è dimezzata, passando dal -20% registrato tra gennaio e aprile 2020 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, al -11% rilevabile se facciamo un confronto sui primi sei mesi e mezzo: da gennaio a metà luglio il fatturato è stato di 533 milioni di euro, mentre nello stesso periodo del 2019 era di 600 milioni). I lettori, si sa, sono molto motivati e non appena hanno potuto uscire di casa sono tornati in libreria, anche per “smaltire l’arretrato” acquistando i libri che frattanto gli editori ricominciavano a sfornare o di cui si era discusso nei tantissimi incontri con autori, presentazioni, webinar etc. fioriti sulla rete nei mesi scorsi. Anche un premio letterario come lo Strega ha fatto la sua parte, dando una spinta ai libri in concorso, giunti rapidamente in testa alle classifiche di vendita (a meno di un mese dalla vittoria, Il colibrì di Sandro Veronesi ha superato le 200.000 copie, La misura del tempo di Gianrico Carofiglio è addirittura a 370.000 copie, tutti gli altri finalisti hanno venduto 15-20.000 copie nelle settimane di maggiore impatto mediatico del premio, ma anche Febbre dell’esordiente Jonathan Bazzi è arrivato a 27.000 copie).
È un fenomeno passeggero, destinato ad esaurirsi a mano a mano che si tornerà alla “normalità” – e sappiamo che in tempi normali il mercato librario non se la passa affatto bene – o si può ipotizzare che le abitudini di vita che ci siamo imposte nei mesi scorsi possano essere almeno in parte mantenute anche dopo la fine dell’emergenza? Possiamo immaginare che le trasformazioni più durevoli riguarderanno i comportamenti individuali e l’assetto urbano. Non possiamo avere certezze, anche perché il nostro futuro sarà il risultato delle scelte che farà la classe dirigente e del modo in cui sarà capace di esprimere un disegno: ci aspetta un avvenire totalmente proiettato sulla rete o riusciremo a portare con un noi qualche pezzo della nostra vita analogica precedente? Mi riferisco in particolare alla “forma” delle città, alle loro piazze e ai loro quartieri, al tessuto dei luoghi di incontro che hanno caratterizzate per secoli il nostro modo di intendere e di abitare il territorio.
Proviamo a fare un’ipotesi. Se si eviterà la totale desertificazione del panorama urbano e si affermerà un modello fondato sulla prossimità – ne stiamo avendo le avvisaglie con quel poco di turismo praticato in questa strana estate del 2020 – il futuro potrebbe riservarci un calo della capacità di aggregazione dei grossi centri commerciali e produrre una rinascita della vita dei quartieri, in cui la gente si sente più sicura e si muove a proprio agio: questo scenario, per esempio, potrebbe fornire una chance interessante alle strutture caratterizzate da una forte connotazione territoriale, come le piccole librerie indipendenti a gestione familiare e le biblioteche pubbliche di base.