23 aprile, giornata mondiale del libro. E da domani?

Si sta per concludere una lunga giornata, durante la quale tantissime iniziative hanno ricordato la giornata mondiale del libro e del diritto d’autore. Quest’anno le celebrazioni − tutte rigorosamente affidate alla rete e ad alcune trasmissioni radiofoniche − hanno assunto un significato particolare, per le circostanze molto difficili in cui ci troviamo e per le preoccupazioni che affliggono tutto il mondo dell’editoria, solo lievemente attenuate da una speranza di rinascita legata al fatto che le librerie sono tra le prime attività a ripartire: al di là della eventuale ricaduta economica, forse modesta per il perdurare delle restrizioni alla mobilità delle persone, la decisione del Governo ha ridato speranza ad un settore che era in crisi già prima dell’esplosione della pandemia.

Nelle prime settimane di lockdown ci eravamo illusi che la reclusione forzata avrebbe prodotto un incremento della lettura, malgrado la produzione editoriale fosse bloccata, le biblioteche fossero chiuse o le saracinesche delle librerie fossero abbassate. Piccolo particolare: ciò presupponeva che le famiglie avessero tanti libri in casa, e le statistiche ci dicono che così non è.  Un po’ alla volta abbiamo toccato con mano la pesantezza dell’impatto della pandemia sul mondo del libro: non è scontato che il vuoto che si è creato possa essere riempito dalla lettura, una pratica che già prima era abbastanza trascurata dagli italiani e che adesso speravamo potesse per incanto riacquistare terreno. Troppo semplice: cambia il paradigma delle nostre esistenze e qualsiasi tipo di offerta, anche il libro e la lettura, va totalmente ripensata.

Quale futuro aspetta il mondo del libro? Devo dire che le idee attualmente messe sul tappeto dalle associazioni di categoria, use a contrapporsi su qualsiasi proposta (come abbiamo visto anche in occasione dell’approvazione della Legge n. 15 “Disposizioni per la promozione e il sostegno della lettura”, approvata il 13 febbraio 2020, alla vigilia della bufera della pandemia), mi paiono ancora inadeguate. Apprezzo molto il fatto che AIB, AIE e ALI abbiano varato un documento congiunto e che ci sia una sostanziale sintonia anche rispetto alle più circostanziate posizioni espresse da altri (dispiace solo che permangano veti e che non si sia avviato un dialogo anche con altre associazioni degli editori e dei librai). Tutti chiedono che venga incentivata la domanda e che siano sostenute le imprese, invocando un “tavolo” che concerti con il Governo misure idonee a fronteggiare l’emergenza. Intendiamoci: le associazioni fanno benissimo a difendere gli interessi delle categorie che rappresentano, ma si tratterebbe, nella migliore delle ipotesi, di interventi utili a dare una boccata d’ossigeno agli operatori economici, per riportarli alla situazione di partenza, che non era esaltante (il mercato del libro nel decennio scorso era sceso da circa 3,5 miliardi di euro a 2,7 e solo da un paio d’anni era tornato sopra i tre miliardi; nell’ultimo quinquennio circa 2.300 librerie hanno chiuso i battenti; gli utenti delle biblioteche sono diminuiti del 30% circa quasi ovunque).

A mio avviso, una politica per il libro ha bisogno di un orizzonte temporale e di un respiro progettuale diverso. L’obiettivo deve essere quello di creare le condizioni per allargare le basi sociali della lettura, che in Italia sono ancora troppo ristrette. Quindi bisogna lavorare sulla promozione della lettura e sullo sviluppo di una nuova offerta editoriale, adeguandola agli stili di vita e di consumo culturale che si affermeranno nel mondo che uscirà dalla pandemia da coronavirus. Serve un sostegno all’innovazione della filiera del libro per farle fare un salto di qualità: investimenti in tecnologie, sperimentazione di nuovi prodotti editoriali, formazione degli operatori a nuove funzioni, e altro ancora, in modo che il mondo del libro possa essere pronto a giocare la partita che ci aspetta. Per la rinascita.

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