«I bibliotecari si rimboccano le maniche e affrontano i problemi in modo pragmatico: se ci sono degli utenti con una igiene personale carente si organizzerà un servizio di docce mobili che stazionano fuori dell’edificio, a disposizione dei senza casa.
A San Diego, in California, ho visto una piccola folla di poveracci uscire dalla biblioteca con i loro sacchi a pelo, i loro cartoni, i loro carrelli del supermercato».
(Antonella Agnoli, Un riparo in mezzo alle pagine le biblioteche come albergo di giorno, http://www.pagina99.it ).
A qualche lettore il mio intervento sembrerà politicamente poco corretto, e forse lo è, ma vorrei comprendere fino in fondo la concezione della biblioteca pubblica e dei suoi servizi cui si ispirano le persone che sostengono questa posizione.
Il dubbio mi viene dalla frase iniziale, in cui si dice: “se ci sono degli utenti con una igiene personale carente….”. Quindi stiamo parlando di persone che si sono recate in biblioteca per utilizzarne i servizi? Il fatto che questi utenti siano senza fissa dimora o che abitino in una reggia sarebbe del tutto secondario, se non per quell’aggiunta “con una igiene personale carente”. Se le cose stanno così, nessun problema. Predisporre delle docce è come se le biblioteche mettessero a disposizione di un presbite un paio di occhiali di lettura (e ci sono tante biblioteche che lo fanno).
Ma non sono certo che si stia parlando di questo. Pongo la questione in modo forse ingenuo, perché mi è parso di capire che si stia discutendo invece del fatto che la biblioteca debba porsi tra i propri obiettivi quello di offrire riparo ai senza tetto. Infatti, nel resto della citazione di tutto si parla (docce, carrelli, sacchi a pelo, cartoni etc.) tranne che dell’utilizzo dei servizi bibliotecari. Me lo chiedo davvero, perché penso che l’equivoco nasca proprio dal fatto che si taccia su questo aspetto.
Mi chiedo, infatti, se stiamo parlando di utenti dei servizi bibliotecari che siano anche senzatetto o se stiamo parlando di cittadini che abbiano questi problemi e che trovano riparo in biblioteca. Mi chiedo anche se i colleghi che sostengono queste posizioni prevedono che, oltre ad offrire un tetto e magari una doccia agli homeless, le biblioteche debbano anche immaginare un’attività specifica di integrazione, in modo da cercare attraverso la partecipazione culturale di recuperare queste persone alla vita della comunità. E, in questo caso, chiedo se abbiano da presentare esempi di iniziative del genere e dei risultati che esse hanno prodotto.
In assenza di questo, mi rimane un dubbio: come mai gli uffici postali, le scuole, le università, gli ambulatori delle ASL, le farmacie, i supermercati e altri servizi pubblici o privati presenti sul territorio non si siano posti il problema di fare altrettanto? Che io sappia, solo alle stazioni ferroviarie e delle metropolitane è stato chiesto di restare aperte nelle nottate particolarmente fredde per offrire un riparo agli homeless. C’è poi il tema delle chiese, ma anche Papa Francesco, al quale da laico debbo riconoscere che nessuno può impartire lezioni in tema di spirito di accoglienza, mi risulta che abbia offerto ai clochard romani il porticato (e fatto installare lì delle docce) e non la Basilica di San Pietro. La differenza è tutta lì.
Se gli uffici postali, i supermercati e la Basilica di San Pietro non si pongono il problema di ospitare i senza tetto perché sono strutture principalmente destinate ad altre funzioni, ciò vale anche per le biblioteche.
Lo dico, perché in assenza di una specifica iniziativa delle biblioteche rivolte agli homeless come utenti potenziali (ma da discutere e progettare seriamente, e non da sbandierare come uno slogan), vedo solo aspetti negativi in questa pur nobile aspirazione.
Temo, per dirne una, che sparirebbero i già pochi utenti reali, forse perché disturbati – a torto o a ragione – dal cattivo odore o dalla preoccupazione, forse sbagliata, per la propria sicurezza.
Temo anche che gli amministratori pubblici – ove mai dovessero decidere di sposare questa linea di accoglienza – potrebbero individuare in questa soltanto la funzione della biblioteca pubblica e, dopo aver deciso di trasformarla in un albergo diurno o in un centro di accoglienza, decidere che non è più il caso di spendere danaro per acquistare documenti o computer, né di assumere personale con competenze bibliotecarie, eliminando di fatto il servizio bibliotecario.
Mi rendo conto perfettamente che quella degli homeless sta diventando una vera e propria emergenza, specie nelle grandi città, ma vorrei comprendere perché la risposta vada cercata all’interno degli spazi delle biblioteche. I bibliotecari hanno una forte vocazione a farsi carico dei problemi sociali, ma non credo che vada persa di vista o sacrificata la funzione istituzionale e identitaria della biblioteca, facendo solo l’altro e non il proprio.