Il Rapporto annuale 2015 presentato dall’ISTAT il 20 maggio contiene alcune buone notizie per chi si occupa di istruzione e per chi crede che valorizzazione delle competenze e sviluppo vadano a braccetto:
- più è altro il livello di istruzione più è facile trovare lavoro: la percentuale di occupati è pari al 75,5% tra i laureati, è al 62,6% tra i diplomati, è al 42% tra chi ha non ha neppure un diploma di scuola superiore;
- anche il dottorato di ricerca si dimostra spendibile sul mercato del lavoro e all’interno delle imprese: 9 dottori di ricerca su 10 sono occupati entro quattro anni dal conseguimento del titolo e l’85% di loro svolge una professione di tipo intellettuale, scientifico o di elevata specializzazione;
- aumenta il differenziale retributivo a favore dei laureati rispetto a chi una laurea non ce l’ha; ma in questo caso la buona notizia contiene qualche limitazione, poiché questo vantaggio in Italia è meno marcato che nella media dei paesi OCSE e vale principalmente per gli uomini, mentre le donne continuano a fare fatica a farsi riconoscere una retribuzione adeguata al loro livello di qualificazione.
Si tratta di segnali parzialmente in controtendenza rispetto alla storia recente del nostro Paese ma, prima di sventolare le bandiere, bisogna aspettare e vedere se questo trend si consoliderà nei prossimi anni. Forse la vera buona notizia è che tutto ciò accade senza che gli organi di governo abbiano messo in atto una seria politica della conoscenza, senza una politica di innovazione industriale fondata sulla ricerca, senza una politica di sviluppo che valorizzi le competenze e il capitale umano. Ci accontenteremmo che la classe dirigente (politica ed economica) non ostacolasse questa tendenza. Se poi la sostenesse con atti concreti, allora vorrebbe dire che finalmente la musica sta cambiando.