Libri o frammenti?

Qualche giorno fa, discutendo con i miei studenti durante una lezione, discutevamo sulle caratteristiche del libro e sul rischio di un suo declino.

Il libro deve il suo successo nei secoli al fatto di essere uno strumento avanzato per la esposizione argomentata e la gestione di contenuti complessi, affrontati organicamente all’interno di una trattazione monografica. Oggi sembra non esserci più bisogno di questa complessità: si assiste a un processo di frammentazione, in parte indotto dall’uso della rete. Internet ci abitua a ragionare “per frammenti” puntuali: Google ci propone continuamente “frammenti” di testo decontestualizzati, e rischia di farci perdere l’abitudine all’approfondimento e alla lettura di un testo “lungo”, argomentato, “narrato”.

Nell’universo analogico la linearità del testo scritto richiedeva tempo per la concentrazione e la riflessione, mentre nella realtà digitale si impara a leggere senza leggere, scorrendo i testi quasi inconsapevolmente, alternando fasi di attenzione ad altre di completa disattenzione, subendo a volte in modo passivo e senza partecipazione il percorso dei link ipertestuali; la capacità di leggere e comprendere un testo argomentativo diviene più istintiva che cognitiva, assimilando abilità per tentativi più che attraverso un apprendimento teorico che precede l’azione. In questo senso, la nuova forma di narrazione per eccellenza sembra essere quella dei videogiochi, che stimola modalità intuitive di azione, che induce alla sperimentazione istintiva e ad affinare progressivamente le abilità [affronto in modo più articolato questi temi a p. 70-73 del mio recente volumetto Senza sapere].

Nella società contemporanea sembra non esserci più posto per uno strumento come il libro.

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