Più volte ho ripetuto che bisogna diffidare delle oscillazioni statistiche da un anno all’altro, che potrebbero dar luogo a complesse e articolate analisi, e che poi invece si riassorbono in un arco di tempo appena appena più ampio. Tuttavia, anche se il dato sulla lettura dei libri è sostanzialmente stabile da alcuni anni, l’altalena dell’ultimo biennio merita qualche considerazione: nel 2011 i lettori di almeno un libro all’anno erano stati il 45,3% della popolazione, per salire al 46% nel 2012 e scendere drasticamente al 43% nel 2013, secondo i dati Istat dell’indagine Aspetti della vita quotidiana, resi noti alcuni giorni fa.
Era difficile dare una spiegazione alla modesta crescita del 2012, che non trova riscontro nei dati di vendita, e che si poteva pensare essere stata condizionata da qualche superbestesseller: nel 2012 la trilogia delle Cinquanta sfumature potrebbe aver prodotto lo stesso effetto già verificatosi nel 2004-2005 con Il Codice da Vinci e verificatosi ad anni alterni tra i ragazzi e gli adolescenti ogni volta che veniva pubblicato un nuovo volume delle avventure del maghetto Harry Potter. Colpisce e preoccupa molto il calo di tre punti percentuali nella quota complessiva dei lettori registrato nel 2013. Una contrazione superiore alla media si è verificata tra gli uomini, al Nord e al Sud; ma il dato che immediatamente balza agli occhi è il calo registrato tra i giovani di 15-17 anni, dove addirittura si perdono in un colpo solo oltre 9 punti percentuali, che in un anno passano dal 59,8 al 50,6%. Verso quali altre occupazioni si stanno trasferendo questi ragazzi? Il boom degli smartphone è sufficiente a spiegare questo fenomeno?
Quando si parla di dati sulla lettura e di promozione della lettura immancabilmente salta fuori che la fascia debole è rappresentata dagli adolescenti e altrettanto immancabilmente parte la caccia alle tentazioni distraenti, che progressivamente sostituiscono il libro nel cuore e nella mente dei ragazzi. Una volta si ipotizzava che fosse l’intensificarsi della vita di relazione (uno studente di un istituto professionale un po’ di anni fa affermò che “le femmine continuano a leggere perché non possono scendere, i maschi smettono di leggere perché stanno fuori”), oggi maggiori imputati sembrano essere Facebook e gli Smartphone, ma mi sembra che sostanzialmente si commetta sempre lo stesso errore: si cerca quello che c’è di troppo e non si cerca quello che non c’é. Nel caso degli adolescenti, venuta meno l’influenza della famiglia, è la scuola l’unico baluardo possibile di difesa della lettura, l’unica che può farla conoscere ed amare. Ma proprio la scuola superiore rispetto alla lettura è completamente latitante; nella scuola superiore ci si limita a criminalizzare il generico non lettore, profetizzandogli insuccessi scolastici e derive culturali, ma non ci si pone realmente il problema delle strategie di promozione della lettura da impiegare a scuola. Ma le competenze in questo senso ci sono? sono previste dal curriculo? sono previste nei percorsi formativi? Mi pare che il problema della formazione sia oggi una delle note maggiormente dolenti; negli ultimi anni si è fatta sempre meno formazione didattica e gli interventi formativi previsti sono stati prevalentemente quelli finalizzati all’addestramento alle nuove tecnologie.